Recensione del documentario “Paul is dead: il caso del doppio Beatle” scritta dal ricercatore della PID Glauco Cartocci

2020

Pubblichiamo una recensione sul nostro ultimo documentario dedicato alla presunta morte di Paul McCartney, a firma del massimo esperto italiano della teoria della PID.

di Glauco Cartocci

Glauco Cartocci

La troupe di Terra Incognita ha realizzato, a mio avviso, il più completo e significativo documentario su Paul Is Dead dal 2005 a oggi. Faccio riferimento alla data del 2005 perché in quell’anno uscì la prima versione del mio libro “Il Caso del Doppio Beatle” che (lo dico senza falsa modestia) è una pietra miliare nel campo. Prima di allora esistevano solo due libri dedicati al “PID” Mystery, entrambi di autori americani, ma  molto parziali e privi degli sviluppi verificatisi nell’indagine negli ultimi 12-15 anni (quindi mancanti anche degli apporti derivanti dal dibattito in Rete). Il documentario per “Terra Incognita” ha il grosso vantaggio, rispetto alle operazioni analoghe già tentate in passato, di essere esaustivo e di rifuggire dalle facili ironie che spesso permeano i servizi TV sul tema.
All’inverso, non ha il tono “paradossale” della convinzione assoluta che Paul sia morto, che è stato il difetto di operazioni quali The King Is Naked o The Last Testament Of George Harrison. Non ha nemmeno il tono “apocalittico” e lugubre delle produzioni del famigerato Iamaphoney. In tali casi, infatti, la troppa creduloneria e le ardite fantasie complottistiche – in assenza di prove – squalificano, per così dire, la ricerca seria, prestando il fianco a chi, sul fronte avverso, è convinto “a priori” che sia tutta una bufala. Paradossalmente, ottengono l’effetto opposto (un po’ come quegli Ufologi poco seri che proclamano come verità assoluta che George Bush Sr. è un rettiliano!)
Personalmente, mi sono sempre battuto per un tipo di indagine con i piedi per terra, che scarti gli indizi forzati, tirati per i capelli. E’ l’unico modo che abbiamo per poter ammettere onestamente che il mistero sussiste, che gli indizi “seri” li hanno inseriti nella loro produzione gli stessi Beatles, e che, se anche Paul fosse sempre lo stesso, ci sarebbero comunque tante, troppe domande che attendono una risposta. Un’altra “fesseria” che sento spesso dire è che questa di PID è una “Leggenda Metropolitana”. Certamente non può essere etichettata come tale, perché le leggende di questo tipo nascono dal basso, dalla vox populi, e non dall’alto (direttamente dalla fonte) come in questo caso. Credo di poter affermare con certezza che quando John, o Paul, o George Martin, o Derek Taylor commentarono che quelle su Paul Is Dead “erano tutte fantasie assurde” nate nei campus americani, stavano mentendo, perché il gioco dei rimandi è stato sapientemente orchestrato da loro stessi. Poi, il Caso beffardo ha dato loro una mano, in più di un’occasione, aggiungendo coincidenze e sincronismi a una storia già molto complessa e studiata con abilità direi Leonardesca.
Le dieci ipotesi che affronto nell’ultima edizione del libro (con la “complicità” dell’amico Pastore) contemplano anche la Grande Burla, che non si può certo escludere. E’ evidente che non si possa avere una risposta “provata” a un mistero così ramificato. Penso però che contemplare una rosa di possibilità, tutte rigorosamente aderenti agli uni o agli altri “indizi”, aiuti il lettore quantomeno a “ragionare” su elementi ponderati, non basati su chiacchiere internettiane o sul “buon senso comune”.
Detto ciò, mi è stato chiesto dai due autori di rilevare alcune imperfezioni presenti nel documentario, che avevo loro segnalato. Lo faccio non per sottolineare da maestrino gli errori rossi o blu, ma solo perché Alessandro e Michele, per primi, desiderano la precisione. Sono certissimo che tre piccole imperfezioni, in un lavorone del genere, non inficiano neanche un po’ la bontà del prodotto.
Ringraziandoli ancora, ecco queste piccole note:

  1. Minuto 14 circa: parlare di “We can work it out” è fuorviante perché la canzone è dell’anno prima (1965), e (in caso di PID) anche l’LP Revolver sarebbe stato comunque eseguito e composto da Paul Primo. Anche il brano Eleanor Rigby NON può entrare nella vicenda PID, a meno che non la si voglia inserire “a posteriori” artefattamente. Questa tipologia di indizi è da me definita “indizi PRE-morte” (ovvero cronologicamente errati, perché antecedenti alla supposta o probabile data della sostituzione). Ad essi do una “spiegazione” sul libro, e approfondisco anche i termini entro i quali possano avere una valenza; ma non è certo questa la sede opportuna;
  2. Il Backward di “Number Nine”, TURN ME ON DEAD MAN, è singolare non plurale (quindi non MEN) ma questo è errore che spesso si riscontra anche su YouTube;
  3. Minuto 41 circa: Michele Rossi parla del LP Paul is Live come fosse uscito ieri, invece è un disco molto vecchio (1993); la targa non è 58 IS ma 51 IS, e dire “l’attuale età di Paul McCartney” è comunque errato perché oggi (2012) ne ha 69, 70 a Giugno.

Probabilmente Michele Rossi intendeva dire “l’età di Paul all’uscita di quel disco”. Inoltre detta copertina è purtroppo citata da tutti come fosse una controprova che Paul è vivo. In realtà non ha molto valore, perché è di molto successiva all’esplosione dell’isteria PID… e quindi “Paul”, il “Paul” del 1993, ci gioca comunque, sia che egli sia l’originale o un sosia: è in ogni caso una strizzata d’occhio, uno “sberleffo”. Non so perché, ma è sempre piaciuto molto, a tutti i siti Internet e alle trasmissioni TV, questo “controargomento”, ma vedete bene che lascia il tempo che trova.
Anzi, se vogliamo, è un’ennesima dimostrazione dell’astuzia dei nostri protagonisti, in qualunque caso!