Lo studioso Paul Devins, effettuando numerose osservazioni nell’area ha rilevato precisi orientamenti solari nei giorni degli equinozi e dei solstizi, ed inoltre una significativa corrispondenza astronomica con il cielo di una data molto remota. Tuttavia seguendo un’ipotesi molto originale è dell’idea che i megaliti non siano altrettanto antichi, bensì scolpiti in tempi a noi molto più vicini
di Ignazio Burgio
In diverse parti del mondo nonché in Italia esistono molti luoghi che presentano rocce dall’aspetto antropomorfo o zoomorfo. Se in tanti di questi casi è probabile che si tratti di “scherzi della natura”, a motivo dell’erosione del vento e dell’acqua nel corso dei millenni, in altri si ha il forte sospetto che tali rocce siano state in realtà modellate in passato dall’uomo, con metodi e significati analoghi ai famosi megaliti del Nord-Europa. Uno dei luoghi più affascinanti in assoluto è costituito dall’area protetta dell’Argimusco nei pressi di Montalbano Elicona (Messina) dove troneggiano grandi formazioni rocciose – alte anche quasi trenta metri – dalle forme umane e zoomorfe: la “Vergine in preghiera”, l’Aquila, i Menhir, ecc. In un precedente articolo si è avanzata l’ipotesi che molti di questi massi presentino precisi orientamenti con i punti cardinali e con il sole ai solstizi, suggerendo dunque un possibile significato archeo-astronomico dell’intera area e di conseguenza anche un’origine umana – forse antichissima – nella disposizione e nella forma delle rocce.
Esattamente un anno fa, nel dicembre del 2009, lo studioso Paul Devins cominciò a studiare dettagliatamente l’area dei megaliti confermando – strumenti alla mano – le straordinarie e curiose coincidenze relative alla loro forma e disposizione.
Innanzitutto nei giorni degli equinozi di primavera e di autunno i due megaliti a forma di Aquila e di Menhir più alto sono perfettamente allineati con il sole che sorge ad est dietro il rapace e tramonta ad Ovest dietro il masso verticale. Inoltre l’ombra di questo proiettata dal sole sempre al tramonto ne raggiunge un’altra di fronte ad essa (evidentemente una sorta di “pietra testimone”). Lasciatosi guidare da alcuni segni e incisioni presenti sulle rocce vicine, Devis ha poi individuato un ben preciso “punto focale” al centro del gruppo di megaliti da cui ha individuato precisi orientamenti con il sole nei giorni dei Solstizi. In particolare con i due profili – maschile e femminile – scavati nelle alte pareti rivolte in direzioni opposte. La cosiddetta “Vergine in preghiera” (o “Orante”) ha infatti il volto orientato verso il sorgere del sole al Solstizio d’Estate, mentre viceversa l’altro versante roccioso in cui molti – compreso Devins – vedono un volto maschile, è rivolto verso il tramonto del sole nel medesimo primo giorno d’estate (che com’è noto secondo il nostro calendario cade tra il 20 ed il 23 giugno, a motivo dello “sfasamento” provocato dall’anno bisestile).
megalite della dea La presenza dei due profili, maschile e femminile, e soprattutto di un’altra formazione rocciosa che ricorda quella di una “Grande Madre” neolitica e protostorica, simile a quelle maltesi, ha indotto dapprincipio Devins ad ipotizzare l’origine rituale di tutta l’area megalitica collegata, in tempi molto antichi, a culti stagionali di fertilità ed iniziazione. A dimostrazione di una tale possibilità lo studioso ha rilevato anche le particolari caratteristiche acustiche di tutta l’area, tali da diffondere agevolmente la voce degli antichi sacerdoti o sciamani dall’alto della formazione rocciosa più grande.
Ma la presenza di parecchie rocce, di ogni dimensione, raffiguranti costellazioni ha portato Paul Devins a preferire un altro tipo di interpretazione – suggerita anche nel nostro articolo come semplice “ipotesi di lavoro” – ovvero la rappresentazione nell’area dell’Argimusco della mappa celeste e delle rispettive stelle di una ben precisa data dell’antichità. Proprio come le tre principali piramidi di Giza raffigurerebbero – secondo la celebre teoria di Robert Bauval – le tre stelle della cintura di Orione, anche le molteplici rocce presenti a Montalbano, comprese quelle apparentemente di poca importanza, rappresenterebbero ciascuna una costellazione come appariva in cielo in una data molto antica.
Devins ha osservato e misurato la posizione di ogni roccia presente sul sito, oltre ovviamente le sue sembianze (o quello che ne è rimasto dopo l’aggressione di vento e pioggia), ed ha censito numerose rappresentazioni astronomiche in forma di roccia. Oltre all’Aquila, alla Vergine, al profilo maschile (che rappresenterebbe la costellazione di Asclepio) di cui si è già parlato lo studioso ha infatti individuato anche la costellazione del Serpente, dell’Idra, di Ofiuco, del Corvo e della Coppa. Con l’ausilio del programma “Stellarium” ha cercato la possibile data nella quale tutte queste raffigurazioni di pietra potessero coincidere meglio con le corrispondenti costellazioni in cielo e soprattutto con gli orientamenti solari, ed il computer ha dato la sua risposta: 10.450 a. C.
panoramica Questa data coinciderebbe curiosamente con quella proposta da Robert Bauval e da altri ricercatori indipendenti circa la datazione delle tre più grandi piramidi di Giza, legate in qualche modo a civiltà antichissime ed ancora ignote all’Archeologia ufficiale, scomparse in seguito ad un disastro globale in cui venne coinvolto il nostro pianeta intorno a quell’epoca. L’Astronomia, la Geologia e le Scienze naturali hanno accertato che intorno all’11.000 a. C. – data di inizio del processo di scioglimento dei ghiacci dell’ultima glaciazione – la Terra subì un vero e proprio bombardamento di meteoriti, forse correlato all’esplosione di una supernova (nella costellazione di Vela) a 1500 anni luce di distanza dal sistema solare. Se fino ad alcuni anni fa l’Archeologia ufficiale escludeva categoricamente per quell’epoca l’esistenza di civiltà progredite (o perlomeno esperte nella tecnica delle costruzioni), allo stato attuale esiste al contrario più di una possibilità in tal senso dopo le recenti scoperti del tempio preistorico di Gobekli-Tepe in Turchia e delle Piramidi di Visoko in Bosnia risalenti entrambe al 10.000 a. C. o forse anche prima. In teoria dunque le misteriose formazioni rocciose dell’Argimusco potrebbero dunque risalire all’attività dell’uomo in quel periodo antichissimo, nonostante che le costellazioni individuate da Devins abbiano certamente un’origine posteriore al 10450 a. C.
In realtà proprio questo è un dilemma che ha fatto riflettere il medesimo Devins. Anche perchè tra le sagome rocciose riconosciute dallo studioso come raffigurazioni celesti vi è anche il Sestante, una costellazione storicamente introdotta nel XVII secolo dall’astronomo polacco Johannes Hevelius. Dunque come può una costellazione moderna trovarsi rappresentata in un contesto megalitico che si presume preistorico ? Lo studioso non nasconde il problema, fino ad abbandonare tutte le sue precedenti supposizioni e ad approdare a conclusioni nuove e completamente differenti: l’origine dell’area sacra dell’Argimusco potrebbe in realtà essere molto più vicina a noi nel tempo, addirittura non anteriore all’età medievale, contrariamente all’aspetto primitivo delle rocce.
Dopo la Rivolta del Vespro (1282) in Sicilia, ed i brevi regni di Pietro d’Aragona e Giacomo II, l’isola venne governata dal sovrano aragonese Federico III. Come risulta dalle cronache del tempo, costui amava risiedere spesso a Montalbano anche per approfittare delle vicine acque termali del Tirone: il suo medico personale Arnaldo di Villanova, gli aveva infatti prescritto questa terapia contro la gotta da cui era affetto. Proprio questo personaggio poco conosciuto, viene considerato dal Paul Devins come uno dei possibili costruttori dell’area megalitica: oltre che medico, secondo la cultura dell’epoca, era infatti anche astrologo ed alchimista, e cosa curiosa pur essendo morto nel 1316 in un naufragio nei pressi di Genova, volle essere sepolto nella cappella del Castello di Montalbano, residenza del medesimo re Federico.
Anche dopo la sua morte tuttavia, l’area dell’Argimusco – sempre secondo Devins – continuò ad essere frequentata nei secoli successivi da personaggi appartenenti a circoli alchimistici-esoterici, in seguito alla diffusione della cultura e della letteratura ermetica a partire dall’epoca rinascimentale. Addirittura – come riporta lo studioso – secondo una tradizione popolare del luogo, fra i megaliti si sarebbero svolti anche riunioni di streghe, veri e propri “sabba”. Elementi più moderni come la rappresentazione della costellazione del Sestante, vennero probabilmente aggiunti nel Sei o Settecento, da astrologi e occultisti che deliberatamente non hanno lasciato alcuna traccia di sé per sfuggire alla pericolosa minaccia dell’Inquisizione. Forse, come suggerisce sempre Devins, nel XVIII secolo anche Althotas, il misterioso maestro di medicina e alchimia del famoso Cagliostro (alias il palermitano Giuseppe Balsamo) potrebbe aver frequentato la zona dell’Argimusco, e avervi anche apportato delle aggiunte, come ad esempio proprio il megalite raffigurante la costellazione del Sestante. Anche se come affermato dal medesimo alchimista palermitano, Althotas era per metà greco e per metà spagnolo, tuttavia al momento del loro incontro abitava già a Messina da parecchio tempo.
In questo contesto allora anche le interpretazioni simbolico-mitologiche, oltre che zodiacali, tratte dai miti classici riscontrate da Devins nella disposizione dei megaliti (ad esempio la contrapposizione fra l’Aquila e il Serpente, simboli rispettivamente della luce e delle tenebre) possono benissimo trovare una loro collocazione, in quanto facenti parte della medesima cultura alchimistica ed esoterica diffusasi in tutta Europa a partire dal Rinascimento.
Sembra molto probabile inoltre che la data a cui farebbe riferimento la disposizione dei megaliti-costellazioni, ossia il 10450 a. C., fosse tenuta in grande considerazione dagli occultisti del tempo – compresi i possibili costruttori dell’area megalitica dell’Argimusco – in quanto ricollegabile ai miti platonici dell’Età dell’Oro e del continente sommerso, così come descritto nei famosi dialoghi del Timeo e del Crizia.
Nonostante l’ipotesi della genesi medievale-moderna dei megaliti di Montalbano Elicona si dimostri indubbiamente interessante, non è tuttavia priva di elementi di perplessità che richiedono ulteriori chiarimenti, quali ad esempio la pronunciata erosione delle raffigurazioni rocciose che ne fa sospettare l’origine a tempi molto più antichi rispetto all’età medievale. Si confida dunque in ulteriori studi e in nuove possibili scoperte.
Nota: Si ringrazia l’autore e Catania Cultura per la concessione dell’articolo. Le immagini sono opera dell’autore.