L’ombra del legislatore greco Solone e delle colonie mediterranee di Atlantide in questo mistero archeologico del Lazio? Le “Cave dell’Aniene” lungo l’Autostrada A24.
di Alessandro Marcon
Abbiamo già trattato in altri articoli di come siano presenti nel sottosuolo del Lazio, come anche in tutto il pianeta, innumerevoli cunicoli e gallerie e di come possano essere considerati come un prodotto di una tecnologia avanzata.
Resta ancora una domanda da porsi: dove conducono, o conducevano, queste gallerie?
C’è una vasta letteratura scritta e leggende che trattano di città e popoli sotterranei, miti che vanno dall’antichità classica a leggende popolari di diverse aree del pianeta.
Naturalmente è sempre difficile controllare la veridicità di certe affermazioni, a meno di trovarne la prova oggettiva.
Più spesso di quanto si ritenga, quello che si cerca nascosto chissà dove è proprio sotto l’evidenza di tutti. Forse qualcuna di queste antiche tracce la possiamo ancora trovare in superficie, in un luogo accessibile ed evidente già da molti secoli.
Percorrendo l’Autostrada A24, procedendo verso Roma, possiamo notare sulla nostra destra, all’altezza di Via di Salone (Lunghezza), una vasta area di cave e laghetti sportivi: sono le cosiddette “Latomie di Salone”, segnate sulla mappa anche con il toponimo “Grotte di Salone”.
Il nome “latomie” deriva dal fatto che tale luogo, fin da tempi storici accertabili, fu sfruttato come cava di materiale (tufo). Da questa località infatti, secondo notizie storiche, anche i romani ricavarono materiale per la costruzione dell’Anfiteatro Flavio (Colosseo).
Il nome “Salone”, invece, deriva da una probabile errata trascrizione successiva al XVI secolo. Come si evince da una cartografia del 1558, la località era nominata “Casale detto Solone”. Tale nome gli derivò dal fatto che Solone, legislatore ateniese, dopo la sua visita in Egitto al tempio di Sais, avvenuta nel 584 a.C., fece una serie di viaggi nell’area mediterranea alla ricerca di notizie su quanto aveva appreso dal sacerdote Crizia. Fu uno di questi viaggi che lo portò a soggiornare per un certo periodo in questa località.
Già questo fatto ci può portare a pensare che il legislatore pensasse forse a questo luogo come una antica sede collegata alla scomparsa civiltà atlantidea, magari una delle sue colonie mediterranee. Il toponimo attuale deve la sua origine al fatto che il sito è in gran parte composto da diversi grandi “saloni” per cui pensando in seguito ad un errore di trascrizione, si cambiò il nome in “Salone”.
Da un esame del sito si può dedurre che non venne usato esclusivamente come cava ma, essendo anticamente costituito vasti ambienti ipogei, venne anche adoperato come abitazione o rifugio. La regolarità degli ambienti, la presenza di tramezzature e la netta precisione con cui sono stati realizzati alcuni archi di collegamento, fanno chiaramente dedurre l’originaria presenza di vasti ambienti interni, che non avrebbero avuto senso se si fosse trattato esclusivamente di una cava. A conferma di ciò il ritrovamento di numerosi frammenti fittili (vasi, monete, perni metallici) che ne denunciano un antico uso abitativo.
Altre particolarità fanno propendere per un origine ed un utilizzo originario diverso e di molto precedente, quindi solo un riutilizzo in tempi storici di un sito molto più antico.
La presenza di nicchie, del tutto simili a quelle trattate negli articoli precedenti, ben poco hanno a che fare con l’utilizzo del sito come cava e, data la loro altezza, non avrebbero senso neanche a fini catacombali. La teoria più diffusa è che siano semplicemente delle cavità nelle quali gli operai avrebbero posato gli attrezzi, ma basta vedere la loro precisione e l’altezza cui sono poste per far cadere quella che è solo una mera ipotesi.
La lavorazione delle pareti, a causa delle dimensioni sempre uniformi e perfettamente orizzontali della traccia lasciata dallo scavo, risulta troppo regolare per essere eseguita a mano, sembra bensì un lavorazione caratteristica di frese rotanti.
Caratteristica ed anomala la presenza di un foro perfettamente regolare su una delle pareti, simile a tanti nel territorio, ricordo a Barbarano Romano la Valle del Biedano, la cui origine, tipo di lavorazione ed utilizzo restano ancora sconosciuti. Quello che risulta improbabile è che si tratti di una lavorazione manuale eseguita in epoche storiche.
Che la località fu sicuramente usata anche in epoca cristiana, lo testimonia l’uso di numerose nicchie, probabilmente usate a fini funerari, e diversi graffiti latini nonché segni dell’iconografia paleocristiana.
Il sito considerato è solo uno dei molti che si snodano lungo l’antica via Tiburtina e che presentano tutti caratteristiche similari.
Si potrebbe quindi forse pensare ai resti di un antichissima città sotterranea, abbandonata e ormai quasi distrutta dal tempo e dall’incuria ed ignoranza dell’uomo?
Anzi, forse addirittura una serie di città, un tempo sotterranee, scavate con tecniche avanzate da una civiltà progredita che ha colonizzato in tempi remoti il sottosuolo del pianeta.
Una conferma potrebbe venire dalla constatazione che questa località è collegata ad altri siti similari da una serie di gallerie e cunicoli che percorrono il sottosuolo dando accesso a diverse stanze ancora sotterranee ed alcuni di questi, passando sotto il fiume Aniene, andavano a congiungersi sull’altra sponda ad un’altra serie di siti ipogei, purtroppo un’altra antica testimonianza completamente cancellata a causa di impropri lavori stradali che hanno completamente sconvolto l’originaria morfologia del territorio.
La località si sviluppa su di un’area di circa 65.000 m2., dei quali oltre il 50% ora a cielo aperto. Questo si deve allo smodato abuso del sito, avvenuto soprattutto in tempi moderni.
La maggiore deturpazione si ebbe infatti quando, negli anni ’60, vi si fece passare l’autostrada A24 i cui lavori contribuirono non poco alla distruzione di buona parte delle latomie. Ciò continuò fino al 1978 e fu solo grazie alla sensibilizzazione delle autorità competenti (Soprintendenza Archeologica di Roma di Piazza delle Finanze) da parte dell’Ing. Marcello Creti della Fondazione Culturale “Sapientia”, che le autorità posero dei cartelli a protezione del sito. Questo non impedì comunque che dopo neanche due anni i cartelli venissero rimossi dando così un nuovo inizio allo scempio dei luoghi.
Attualmente la località è in parte adibita, grazie alla presenza di laghetti, a pesca sportiva mentre buona parte dell’area è ancora deturpata da diversi capannoni industriali, probabilmente abusivi, che ancora scempiano e sfruttano un area di indubbio interesse storico ed archeologico.
Anche le tipiche e originarie aperture visibili dall’autostrada, sono oggi oggetto di scempio in quanto completamente avulse dal loro uso originale a causa di ristrutturazioni improprie, contribuendo ad aumentare il degrado di un sito di notevole importanza storica, già seriamente compromesso.