I castelli siciliani edificati da Federico II di Svevia come il castello catanese, presentano molte somiglianze con le classiche fortezze arabe. Nondimeno inglobano nella loro architettura caratteri tipicamente gotici, in quanto i loro costruttori furono quegli stessi operai cistercensi che nell’Europa continentale edificarono le magnifiche cattedrali francesi. Di diverso stile sono i coevi castelli svevi sorti nell’Italia Meridionale, più legati alla tradizione romanica anche se presentano ugualmente elementi arabi e gotici. Le fortezze militari di Federico II si dimostrano insomma testimoni di quella fusione di correnti culturali e artistiche che per tutto il Medioevo attraversarono l’Italia Meridionale e la Sicilia, con le soluzioni più svariate.
di Ignazio Burgio
Tra la primavera del 1228 ed il 1 maggio 1229, l’imperatore Federico II fu in Oriente, a Cipro, Acri e Gerusalemme, partecipando anche lui attivamente – sotto l’irrequieta pressione del papa Gregorio IX che lo aveva già scomunicato – alla Sesta Crociata, anche se a modo suo: lo “Stupor mundi”, con la sua arte diplomatica e la sua ammirazione per il mondo arabo, di cui parlava anche la lingua, ottenne senza colpo ferire la città santa in cambio del suo appoggio politico al Sultano d’Egitto Al-Kamil contro gli altri sultani mediorientali. A tale viaggio, anche se breve, alcuni studiosi, come il Kronig ed il Samonà, fanno risalire un mutamento nel disegno e nello stile dei castelli federiciani in Italia, che avrebbero da quel momento in poi inglobato elementi e caratteri tipici delle fortezze templari in Medio Oriente, quali il famoso Krak dei Cavalieri o il Castello dei Pellegrini ad Atlith (così denominato in quanto edificato anche col contributo di numerosi pellegrini diretti a Gerusalemme). Altri studiosi come il Bottari fanno invece risalire tali innovazioni architettoniche all’adozione di progetti musulmani specialmente nel caso dei castelli costruiti in Sicilia da maestranze cistercensi importate dalla Borgogna. L’esempio più lampante è costituito dal Castello Ursino, al centro di Catania, che sarebbe infatti la copia della fortezza araba di Susa in Tunisia. Il problema – lungi dall’essere una semplice questione accademica – evidenzia ancora una volta anche in campo architettonico le molteplici influenze culturali in tutti i campi a cui furono soggette la società e la corte sveva in Italia Meridionale e in Sicilia.
L’architettura e il disegno dei tipici castelli medievali inizia praticamente col medioevo stesso. Al IV – V secolo appartengono infatti le fortezze bizantine a pianta quadrata che non facevano altro che ripetere lo stile romano antico (“castellum” deriva da “castrum”, l’accampamento fortificato romano), le quali tuttavia già dovevano integrare in sè i primi esempi di torri cilindriche. Queste ultime vennero sviluppate meglio dagli architetti arabi, su suggerimento dello stile persiano, come nei castelli di Qal’at Dja’bar e Qasr el Heir, una fortezza bizantina ad est di Palmira restaurata dal califfo Hisham nel 728. Dunque già in quel periodo i castelli dell’oriente arabo assunsero caratteristiche architettoniche, militari ed anche estetiche qualitativamente superiori ai corrispondenti esempi europei basati sul più semplice e spartano stile romanico dalle linee dritte. Le maestranze di cui si servirono gli arabi non erano solo locali (greci e siriani) ma anche armene, più esperte nell’edificazione di fortezze. Queste stesse maestranze locali e armene vennero impiegate nell’età delle Crociate dai cavalieri templari e degli altri ordini monastico-guerrieri (Ospedalieri e Teutonici) per erigere i loro castelli sulle principali strade d’accesso alla Terrasanta.
Tutta quest’opera di costruzione venne completata all’inizio del XIII secolo, così che Federico II una volta giunto in Palestina ebbe certamente modo di ammirarne ed apprezzarne le caratteristiche difensive più salienti: le torri rotonde, gli imponenti bastioni, le geometrie poligonali – come la torre araba pentagonale del castello di Kerak i cui vertici formano uno sperone – e le anticamere delle feritoie ricavate nelle spesse mura del “mastio”, l’edificio principale del castello, di grande efficacia per bombardare dall’alto gli assalitori con dardi o altro. Dal momento che in Puglia i nuovi castelli edificati dopo il ritorno dell’imperatore svevo cominciano ad integrare alcune caratteristiche tipiche dei castelli templari in Terrasanta – in primo luogo le torri circolari – gli studiosi dell’architettura medievale, come i già citati Kronig e Samonà ne deducono che sia stato il medesimo Federico II a modificarne i progetti. Lo stesso Samonà tuttavia non può fare a meno di osservare che anche i castelli pugliesi e lucani del “nuovo corso” rimangono sostanzialmente legati ad uno stile più lineare, che non si discosta di molto dalla tradizione bizantina e romanica altomedievale, pur integrando anche i nuovi elementi gotici, primo fra tutti l’arco a sesto acuto dei portali. Il motivo starebbe essenzialmente nel fatto che in Puglia, e precisamente a Foggia, si era sviluppata una fiorente scuola architettonica, alla quale appartenevano valenti “protomagistri”, ma pur sempre pugliesi e dunque stilisticamente legati alla tradizione italica e romanica. In base allo stesso criterio i medesimi studiosi trovano una significativa eccezione a questa regola in un solo castello pugliese, assolutamente diverso da tutti gli altri: Castel del Monte, che presenta invece caratteristiche più gotiche e borgognoni, e quindi anche più vicine ai castelli della Sicilia.
Ben altro discorso vale per i castelli siciliani. La pianta, l’architettura e le soluzioni difensive del Castello di Maniace a Siracusa, del Castello di Augusta e del Castello Ursino di Catania, tanto per citare gli esempi più espliciti, sono molto più vicini ai corrispondenti modelli templari in Terrasanta, in particolare per le torri cilindriche e le architetture gotiche interne. Motivo di questa vicinanza stilistica tuttavia, per il Bottari, non sarebbero – come per i castelli pugliesi – influenze provenienti dalla Terrasanta, e tanto meno da Federico II, bensì direttamente dalla tradizione araba ancora forte in Sicilia, che avrebbe ripreso progetti e stili architettonici tipici delle fortezze musulmane in Medioriente ed in Africa (con l’aggiunta naturalmente degli elementi gotici). A riprova di ciò il Bottari porta l’esempio del Castello Ursino di Catania, confrontandolo per di più con il medesimo Castel del Monte.
In tre lettere spedite dall’Imperatore tra il novembre del 1239 ed il marzo dell’anno successivo al supervisore Riccardo da Lentini – “prepositus hedificiorum novorum” – veniamo a sapere che il castello catanese fu iniziato appunto nel novembre del 1239, mediante duecento onze d’oro sborsate dai cittadini di Catania su “caloroso” invito dello Svevo, più altre centosessanta onze avanzate dalla costruzione del Castello di Augusta. Ben poco altro sappiamo dai documenti rimastici, ma molti altri dettagli sono stati dedotti dall’analisi del castello medesimo.
La caratteristica più saliente del Castello Ursino è la massiccia staticità delle sue mura, il cui continuum non viene interrotto nemmeno dal lato di accesso: il portale è infatti di una semplicità tale da conferire anche a quel lato senso e funzione di solidità. Come fa notare il Bottari, infatti, non furono motivi economici a determinare l’essenzialità dell’architettura di questo castello, ed in primo luogo del suo portale, ma precise scelte architettoniche, rispondenti allo stile dei “castra” arabi che non era mai venuto meno in Sicilia neppure dopo la conquista normanna. In base alla stessa logica architettonica anche le quattro torri circolari agli angoli del castello svevo di Catania, insieme alle altre quattro emisferiche a metà di ogni lato (di cui attualmente ne rimangono solo due) oltre che essere funzionali alla difesa, danno maggiore risalto all’imponenza della struttura oltre che al suo senso di solidità: “…Pensiamo per un momento al Castello Ursino con le sue quattro torri cilindriche, poste agli spigoli e quasi staccate dal muro, e pensiamo alle quattro minori interposte e compenetrate nella cortina. L’equilibrio di questa mole è indicato decisamente dalla simmetria assoluta di ogni parte con un segno di distinzione che è cesura incolmabile con lo spazio intorno. L’opera nel suo equilibrio la sentiamo distaccata e distante; un senso quasi astratto della forma è nelle torri angolari, rappresentati come staccati cilindri esaltanti questa idea precisa di volume puro; in esse si condensa gran parte dell’espressione potentissima e pur contenuta in uno stato di equilibrata tensione…” (Giuseppe Samonà, I castelli di Federico II in Sicilia e nell’Italia meridionale, Palermo 1952, p. 517).
Se è vero che il piano architettonico ricalcò lo stile arabo, le maestranze che lo eressero furono sicuramente cistercensi provenienti dalla Borgogna (regione appartenente a Federico) benchè a quell’epoca stabilmente residenti in Sicilia: l’incompiuta Basilica del Murgo presso Lentini (Sr) con annesso monastero, e le altre fortezze dello stesso periodo – il castel Maniace a Siracusa, La Torre di Federico ad Enna, ecc. – pieni di caratteri gotici all’esterno e all’interno testimoniano l’inconfondibile mano degli operai che sul continente europeo edificavano cattedrali, castelli e palazzi secondo il più famoso stile medievale. La mano cistercense sui castelli presi in esame si manifesta soprattutto nel rigore geometrico e matematico che compongono i diversi settori delle costruzioni, in stretto rapporto proporzionale tra loro. Nel Castello Ursino la larghezza del cortile quadrato, ad esempio, è tre volte quella dei grandi vani che lo fiancheggiano (mentre nel castello di Augusta è cinque volte). Analoghe soluzioni geometriche nelle altre parti sempre del Castello Ursino, come nei vani ottagonali perfettamente inscritti all’interno delle torri cilindriche angolari, richiamano quella perfezione matematica che nelle cattedrali francesi sembra andare oltre le pure esigenze architettoniche, assumendo certamente finalità mistiche e spirituali. Federico II del resto si servì largamente dei cistercensi anche per colonizzare zone spopolate tanto nel Regno di Sicilia quanto in Germania. Un mese dopo la sua incoronazione del 1215 chiese all’ordine di poter essere accolto al suo interno come membro laico. Era una consuetudine già seguita dai suoi avi, certamente, ma testimonia anche lo stretto legame tra la Corte Sveva ed i Cistercensi, compresi i loro architetti ed i loro operai.
Per disposizione del medesimo imperatore svevo il Castello Ursino doveva rimanere l’edificio più alto di Catania, vietando che si costruissero nella città palazzi o chiese più alti delle sue mura. Questo perchè anche l’immagine ben visibile della fortezza doveva servire come deterrente, essendo stata Catania una città ribelle e costantemente inquieta. Edificato infatti su di una lingua di terra che si prolungava sul mare, ai tempi di Federico II il castello era circondato per tre lati dall’acqua, dominando con la sua posizione e con la sua altezza la città, finchè la colossale eruzione dell’Etna del 1669 non lo circondò con la sua lava, allontanandolo definitivamente dal mare, e colmando parte della sua altezza dal suolo.
All’opposto di Castello Ursino l’architettura del più famoso castello pugliese – i cui lavori iniziarono appena qualche mese dopo quelli del castello di Catania, nel gennaio del 1240 – cerca il dinamismo e l’armonia della luce in movimento, esaltata anche dal colore chiaro dei suoi materiali. “…Castel del Monte non mostra questa contenuta tensione, questo equilibrio, poichè la sua potenza espressiva consiste nella forza erompente dalle torri poste a serrare il centro e a plasmare l’organismo come un gigantesco pilastro polistile di sentimento gotico…” (Giuseppe Samonà, op. cit. p. 517). Castel del Monte infatti non doveva essere destinato a funzioni militari, ma simboliche e celebrative. Ambedue i monumenti tuttavia integrano nella loro architettura un senso di simmetria comune anche agli altri castelli siciliani, ma sconosciuto a quelli pugliesi e lucani. Per Castello Ursino ciò è spiegabile – come si è già detto – sia col fatto che esso riprende il piano d’opera delle classiche fortezze arabe, come il castrum di Susa in Tunisia, sia con la nazionalità dei suoi operai, appunto i cistercensi. Per quanto riguarda Castel del Monte invece ciò rappresenta uno dei tanti enigmi del monumento: sembra poco probabile che i progettisti siano stati gli architetti pugliesi dato lo stile totalmente differente rispetto alle altre fortezze della regione. Al contrario per le sue somiglianze di armonia e simmetria con Castello Ursino e gli altri castelli siciliani certamente ebbe delle maestranze cistercensi, tradizionalmente esperte nel dotarlo di qualità ed elementi gotici all’esterno e all’interno. Ma alcuni studiosi non hanno escluso che possano essere intervenuti nella sua costruzione anche tecnici arabi, chiamati per interventi delicati quali gli impianti idraulici e le scale elicoidali (molto simili a quelli del Castello Ursino e del Castello Maniace a Siracusa). Un enigma è poi costituito dalla lettera che Federico II spedì il 28 marzo 1240 a Riccardo da Lentini – ancora preso a controllare la costruzione del castello catanese – nella quale lo distoglie da suo importante lavoro e lo richiama a Foggia. In quel periodo l’edificazione di Castel del Monte era appena iniziata da due mesi: che l’Imperatore ritenesse più importante fargli sovrintendere i lavori del castello pugliese ? Comunque sia, una riprova di questo andirivieni di architetti, tecnici e maestranze di diversa origine, potrebbe essere rappresentata – secondo il medesimo Bottari – dal portale del castello Maniace di Siracusa e dalla sua finestra sul mare, che vengono ad interrompere la continuità – strutturale ed estetica – della superficie muraria. Dal momento che le decorazioni del portale hanno caratteristiche pugliesi, non è escluso che questa significativa eccezione al piano originario, di tipo arabo, del castello possa essere una testimonianza della partecipazione di maestranze della “Scuola di Foggia” all’edificazione del maniero siracusano. Un esempio altrettanto significativo, insomma, della consueta e costante osmosi culturale esistente nella nostra isola sin dalla conquista normanna, e non interrottasi nemmeno con l’ascesa al trono di Federico II, com’è noto figlio di Enrico VI di Svevia, ma normanno per parte di madre.
(Si ringrazia il dott. Ignazio Burgio e Catania Cultura per la concessione dell’articolo)