Le fave di San Nicola

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Un interessante approfondimento sul culto di San Nicola

di Nicoletta Travaglini

Il culto di San Nicola è arrivato in Abruzzo attraverso il tratturo L’Aquila – Foggia. Egli è patrono di Pollutri, graziosa cittadina abruzzese sita non lontano da Vasto. Il suo territorio è attraversato dai fiumi Sinello e Osento, ed è ammantato da magnifici vigneti, uliveti e una volta anche da uno sterminato bosco, che parte viene riportata anche dalle mappe catastali risalenti all’Unità d’Italia. Di esso oggi rimane solo un piccolo pezzetto chiamato “Bosco di don Venanzio” e la “Quercia di San Nicola”, albero sacro dedicato al Santo Patrono di Pollutri.
Si narra che questa immensa selva desse rifugio alle più diparte figure mitologiche e non, comprese fate, streghe, gnomi e naturalmente briganti che vi sotterrarono immensi e favolosi tesori!!
Si racconta che un principe longobardo voleva fondare una città nel luogo dove avrebbe ritrovato il suo adorato puledro perduto e, a quanto pare, lo ritrovò nel posto in cui oggi sorge Pollutri, da qui forse l’etimo del nome. Secondo altri il suo nome deriva da un tempio dedicato a Polluce, altre fonti parlano di nome di derivazione greca che significa “ molta acqua”. Esso fu un possedimento dei Caldora, dei Capua ed infine dei D’Avalos.
Come abbiamo detto la venerazione di San Nicola giunge a Pollutri attraverso il tratturo Magno o del Re, grazie anche a una reliquia consistente in una rappresentazione del braccio del Venerabile.
La leggenda vuole che a Pollutri San Nicola durante una forte carestia che aveva investito questo paese, disponendo solo di poche fave, le moltiplicò all’infinito, riuscendo a sfamare tutti!!
In ricordo di questo miracolo la prima domenica di maggio e il 6 dicembre si celebrano delle cerimonie che commemorano questo fatto prodigioso.
Le donne e quelli del comitato delle feste, dopo la raccolta, attraverso la questua, del frumento con il quale si impasterà il pane di San Nicola, le piccole pagnotte verranno portate al forno dalle donne su lunghe tavole in equilibrio sulla loro testa.
Il 6 dicembre, dopo la funzione religiosa, c’è la processione con il busto del santo; nel pomeriggio, il rintocco della campana della chiesa principale dedicata proprio al santo, il cui suono scongiura le tempeste, si accenderanno le pire sotto sette, o nove , grossi calderoni contenenti le fave e il paiolo che bollirà per primo farà vincere il suo proprietario. Una volta cotte le fave verranno distribuite insieme ai pani che portano l’effige del santo e che verranno consumati per devozione e tradizione, insieme al vino.
Questo rito potrebbe essere un antico retaggio delle feste celebrate in onore del divinità celtica della fertilità Dagda. Secondo alcune leggende egli era il marito di Brigid o di una dea con tre nomi: Menzogna, Astuzia e Disgrazia. Egli possedeva un calderone prodigioso con il quale nutriva tutta la Terra non solo in senso materiale ma anche in quello spirituale e culturale, per questo era chiamato anche Signore del Grande Sapere. Il suo calderone, secondo alcune leggende, fu, poi, smembrato in 7 coppe più piccole.
Come si è visto i calderoni sono sette, questo numero, però non è citato a caso poiché esso è … magico per antonomasia, in quanto risulta dall’unione del 3, che rappresenta la molteplicità, e del 4, che rappresenta la globalità. Questa cifra ha una rilevante importanza, perché è associata alla creazione divina del mondo; Dio, infatti, creò il mondo in sette giorni!! Esso è anche una dimensione spazio-temporale sacra per antonomasia.
Il numero sette è associato ai pianeti, ai metalli, ai nani della famosa fiaba di Biancaneve, 47 erano le persone partite alla volta dell’ignoto per salvare le sacre spoglie di San Nicola; gli dei dell’antico Egitto erano divisi in gruppi di sette, gli unguenti sacri erano 7, i nodi magici usati per far passare il mal di capo erano sempre… 7, le anime di Ra erano sette etc.
L’energia del Cosmo è costituita dalla dinamicità del triangolo e la fissità del quadrato, poiché la combinazione di queste due figure geometriche, riportano, sempre, al numero sette. Presso gli ebrei dire “sette volte sette” o l’elevazione a potenza di questa cifra indica un numero infinito di volte.
Le fave simboleggiano, in alchimia, il sale minerale ed evocano lo zolfo rinchiuso negli elementi.
Questo legume è usato presso alcuni popoli, come dolce tipico dell’Epifania, sostituito, a volte da un piccolo pesce, simbolo, presso le prime comunità cristiane, del divino.
Esse sono il pasto per eccellenza della tradizione contadina, molto costumato durante i lavori nei campi e come buon auspicio per i matrimoni; in quanto rappresentano la prole maschile che verrà; in Italia, infatti, simboleggiano l’organo sessuale maschile.
Gli antichi, usavano questo legume durante le cerimonie funebri, in quanto esse contenevano l’anima dei trapassati.
Le fave appartengono a quei sortilegi definiti “protettori”, in quanto rappresentano la morte e la vita, intesa come prosperità. Durante i riti della Primavera, dedicati alla Magna Mater, esse sono il primo dono di questa divinità, nonché, la prima offerta dei morti ai vivi, oltre che il segno della loro rinascita attraverso la reincarnazione.
In molti riti orfici e pitagorici, si evitava di mangiare fave perché equivaleva a nutrirsi della testa dei propri avi. Mangiare i defunti sottoforma di fave, era come entrare a far parte del ciclo della reincarnazione, nonché sottomettersi agli enormi poteri della materia.
Durante i riti della Primavera, attraverso di esse che ci si metteva in contatto con il mondo invisibile, imperscrutabile, dell’oltretomba.
Presso i greci questi legumi venivano sia mangiati che usati come palline per votare i magistrati.
Nelle società rurali abruzzesi, le fave, erano molto diffuse, in quanto, rappresentava il primo e desiderato raccolto della nuova annata agricola, opportuno per superare l’esaurimento delle derrate alimentari dell’anno precedente e nell’attesa di quelle nuove che non erano ancora pronte. Questo periodo era chiamato la “Costa di Maggio” o di “Giugno”, particolarmente sentito nelle aree rurali di montagna.
San Nicola è, inoltre, invocato a Pollutri, per far addormentare i bambini affinché, con il suo tocco lieve abbassi loro le palpebre permettendogli come Morfeo, divinità del mondo antico protettore dei sogni, che appariva sottoforma di persona conosciuta al dormiente, un dolce e tranquillo riposo!!
L’etimo del nome Nicola deriva dall’unione di due parole greche “Nike” e “Laos”, cioè “Vincitore del Popolo”. Per gli antichi, infatti, la “Vittoria” era personifica dalla “Nike”. Questa divinità era l’immagine del potere invincibile di Zeus e di Pallade Atene, il più importante nume dopo il padre di tutti gli dei, Zeus. Atena era venerata anche con il nome di Atene Nike ed essa non era alata poiché, essendo l’alterego della divinità, non si poteva staccare da essa.
Atena era, secondo la mitologia classica, la personificazione della Sapienza, dell’agilità, e della guerra. Essa era la regina del cielo ed una delle dodici divinità più importanti dell’Olimpo, nonché una delle tante facce della Grande Madre e del suo archetipo la Dea Bianca, cioè la Luna.
Atena venne fuori dalla testa di Zeus, quando questi mangiò la sua prima moglie Meti, poiché era incinta.
Il padre degli dei temeva, infatti, che il nascituro fosse superiore a lui e in qualche modo ne usurpasse il potere, e così appena dopo essersi nutrito della consorte, gli scoppiò un forte, mal di capo, allora, Efesto con una grossa ascia gli assestò un colpo, la testa del padre degli dei si aprì, e… come per incanto vi emerse una giovane donna bellissima vestita con una lucente armatura.
Questa dea aveva dato agli uomini l’olivo e aveva inventato l’aratro e il suo uso; per questo motivo essa era venerata anche come protettrice dell’agricoltura.
Per propiziarsi una buona semina e quindi un buon raccolto, ben due dei tre rituali sacri erano dedicati ad essa, come le feste in suo onore, le cosiddette Panatenee, che in principio erano semplici rituali della mietitura.
La sua immagine iconografica è quella di una donna, nel vigore della giovinezza con uno scudo e una lancia. I suoi animali totemici erano: il gallo, la civetta, la cornacchia, e il serpente; la sua pianta sacra era l’olivo; presso i romani venne chiamata Minerva.
Tra i suoi appellativi vi erano anche quello della già citata Nike come vittoria, per il suo tempio che dominava l’Acropoli.
Con il passare del tempo la Nike, divenne il simbolo di eventi lieti, prosperi, vittoriosi, nonché di competizioni sportive ed avvenimenti musicali che coinvolgeva in generale il popolo.
Presso i Sabini essa veniva chiamata Vacuna, che era anche protettrice dell’agricoltura e del desiderio carnale, inteso come piacere.
Nell’aquilano presso uno dei ruderi di un tempio dedicato a questa divinità, che il sincretismo cristiano ha trasformato in Santa Maria della Neve, venivano celebrati, agli inizi di agosto, dei singolari riti propiziatori.
Essi consistevano nel tracciare un solco con l’aratro, il più diritto possibile, e questo solco attraversava tutti i campi fino al sagrato della chiesa di Santa Maria della Neve. Il giorno successivo una mucca veniva fatta genuflettere sulla porta della chiesa, dopodiché un ragazzo scelto tra le migliori famiglie della zona le montava in groppa e si allontanava dal paese per tornarvi più tardi dopo che alcune persone avevano ammonticchiato dei covoni di grano. Egli dopo essersi seduto su di essi distribuiva delle ciambelle a tutti i partecipanti alle feste che culminavano con musica, canti e danze.
I romani la chiamarono Dea Victoria ed era rappresentata, come la sua antesignana Nike, con le ali e un ramo di palma e una corona di alloro, ed era una divinità celeste minore.
Già dal etimo del nome si evince che questo Santo, abbia a che fare con l’abbondanza e la prosperità e sia uno delle tante figure pagane che la “Trasmutazione” cristiana ha beatificato.
Nicola pare sia nato a Patara in Turchia, o più in generale, in quella “regione” che durante l’Evo Medio era definita come “Saracinia” cioè terra dei Saraceni o Mori, comunque dei pagani. Egli nacque verso la fine del 200 d.C. da una famiglia cristiana agita.
Tra le tante leggende che aleggino intorno a questa figura, si narra che appena nato, si sollevò, con le mani giunte, dal catino nel quale lo stavano lavando, ringraziando il Signore di essere nato; egli si nutriva solo i mercoledì e venerdì, giorni con particolari influssi negativi, secondo la tradizione popolare.
Mercoledì, dal latino “dies mercuri”, cioè giorno di Mercurio, deriverebbe dal nome della divinità tedesca Odino, padre di tutti gli dei, marito di Frigga o Feya e padre di Thor. Nelle società contadine il mercoledì era considerato il giorno dedicato alla Madonna del Carmelo o del Carmine; infatti, per loro, questo giorno veniva chiamato semplicemente il “Carmine”.
Venerdì dal latino “dies veneris”, cioè giorno di Venere, dea della bellezza nonché uno delle tante facce della Grande Dea Madre, divinità universale che si scindeva presso i vari popoli, religioni e società, in diversi numi come ad esempio la tedesca Freya , che per i popoli teutonici era la dea della fertilità, signora e padrona della giovinezza, della bellezza, dell’amore sia platonico che passionale e ovviamente di tutto ciò che era associato ad esso.
Questa divinità bellissima, moglie di Odur, in alcune versioni del mito consorte di Od e in altre addirittura compagna del potente Odino, figlia di Njordhr , sorella di Freyr e madre di Hnossa, era una delle più potenti divinità dei Vani nonché figlia del protettore dei naviganti, veniva raffigurato come un guerriero selvaggio e crudele.
Essa conosceva anche l’arte della divinazione che mise al servizio di Odino quando questi perse l’uso della vista; essa divenne, così, potente da indossare il mantello del destino, decretando la vita e la morte degli uomini, esigendo, inoltre, il tributo di metà dei guerrieri periti in battaglia. Il giorno consacratole era il venerdì da cui prende anche il nome, i suoi animali sacri erano i gatti , il falchi, le farfalle, il cuculo e cavalli.
Con l’avvento del cristianesimo, si cercò di sradicare questo culto pagano demonizzandolo, e così il venerdì divenne un giorno infausto, i gatti alati che trainavano il suo cocchio si mutavano in streghe dopo sette anni e infine i cavalli neri divennero i messaggeri degli inferi. Inoltre questo già nefasto giorno divenne addirittura sfortunato per tutti i tipi di lavoro da quando il 13 ottobre 1307, che cadeva di venerdì, Filippo IV, detto il bello, emise un mandato di cattura contro tutti i templari che si trovavano sul suolo francese.
Appena emesso l’ordine di cattura, alcuni templari presero il mare, dal porto de la Rochelle, e solo coloro che riuscirono a imbarcarsi nella confusione seguita agli arresti poté salvarsi, da allora in memori di questo massacro perpetrato ai danni di innocenti, questo giorno, ha preso una valenza malefica.
Per tornare al personaggio storico, o perlomeno a quello che si sa di San Nicola, come persona realmente vissuta, si dice che egli presenziò, forse, con la carica di diacono, il concilio di Nicea, dove, tra le tante cose, si confermò la natura divina del Cristo, per poi recarsi a Roma, ove, per volere di Papa Silvestro, divenne vescovo di Myra in Lycia, provincia dell’Asia Minore, e grazie al suo apostolato che questa terra fu risparmiata dalle eresie.
Rimasto orfano in giovane età, fu perseguitato e torturato per le sua ideologia religiosa, finché l’Editto di Costantino non pose fine alle persecuzioni Cristiane.
Nicola di Patara morì intorno nel 350 a. C. a 82 anni; egli fu un forte, deciso, zelante cristiano che operò molti miracoli.
Una delle sue prime biografie furono redatte nel 740 da Sant’Andrea di Creta. La venerazione del Beato, giunse in Occidente dopo che l’Imperatore bizantino Leone III l’Isaurico (680-741), proibì il culto delle sacre rappresentazioni, mettendo al bando tutto ciò che li riproduceva.
Molti religiosi per perpetrare questa tradizione, fuggirono in Occidente portandosi dietro le loro usanze, compreso il culto di San Nicola.
Le spoglie mortali di Nicola furono sepolte in una chiesa di Myra vicino Patara che fu sconsacrato e così si perse la memoria dell’edificio insieme a ciò che conteneva.
Passarono i secoli e questa terra fu conquistata dai Selgiunchi, che nutrendo una profonda avversione per i cristiani, impedivano ai pellegrini di raggiungere la Terra Santa assalendoli e depredandoli. Probabilmente fu questo uno dei tanti motivi per cui si promossero le Crociate.
Nel 1086 un vescovo ebbe un sogno premonitore nel quale il Santo di Bari gli imponeva di andare a recuperare le sue spogli mortali in Terra Saracinia. L’anno successivo tre caravelle con 47 baresi, tra i quali vi erano sacerdoti, mercanti, e soldati, partirono verso l’ignoto per recuperare i sacri resti del Vescovo di Myra.
Questa chiesa, secondo la leggenda, era accudita da monaci, cosa al quanto improbabile, poiché essa era sconsacrata ed era in territorio pagano. Quando i baresi giunsero in questo luogo, prima dei veneziani, anche loro interessati alla sacre ossa, si trovarono di fronte un sarcofago bianco con dentro i resti del Santo immerso in un liquido trasparente, la cosiddetta manna, che inondava la stanza con un odore paradisiaco. Dopo aver preso le spoglie e averle posto in un barile, essi partirono alla volta di Bari. Durante il viaggio si scatenò una tremenda tempesta che fece temere più volte per l’incolumità dei marinai i quali furono salvati dal Santo che fece cessare la procella.
Il 9 maggio del 1089 il corpo di Nicola giunge a Bari dove guarì circa 47 malati terminali; in quel anno si iniziò la costruzione di un tempio dedicato al Santo e nel frattempo le spoglie furono poste nella Cattedrale pugliese. Durante lo scavo delle fondamenta dell’edificio alcuni muratori furono coinvolti in un mortale incidente, ma la loro grande fede e l’ulteriore miracolo operato dal Santo, li salvò. Era il 1097 quando la nuova sede del corpo mortale di Nicola fu terminato, siccome mancava un pilastro esso arrivò fortunosamente, galleggiando per mare, dalla terra natale del Beato.
In seguito alla riforma, i protestanti abolirono la festività in onore del Santo, anche se i coloni olandesi continuarono, a New Amsterdam, a venerarlo e quando questa città passò sotto il controllo inglese e fu ribattezzata con il nome di New York, il venerabile divenne Sinter Klaas: un misto tra l’iconografica classica del beato e il dio teutonico Thor e la su festa fu spostata al 25 dicembre. La festa del santo fu soppressa dalla chiesa nel 1969.
Babbo Natale è l’emblema natalizio più amato dai bambini, perché dispensatore di doni. Egli arriva di notte su una slitta d’oro carica di doni trainata da delle renne che sfrecciano nel cielo buio della fredda notte di Natale. Esse si fermano sul tetto e, Babbo Natale, calandosi dal cammino, deposita i doni sotto l’abete natalizio.
Ha una lunga barba bianca ed è corpulento, indossa un costume rosso, che inizialmente era verde, ma poi per ragioni d’immagine si è preferito il look attuale, ed ha un viso allegro e vivace.
Vive in una casa in Lapponia o Finlandia e i suoi aiutanti sono gli gnomi e i folletti e tanti animaletti che collaborano nel trovare e incartare i regali che i bambini, e non solo, di tutto il mondo gli richiedono.
L’immagini classica di questo personaggio tipicamente nordico, risponde più o meno a quella descritta poc’anzi; ma in realtà questa figura del “dispensatore di regali” è modellata sull’archetipo di San Nicola.
Santa Claus è, infatti, la distorsione del nome San Nicola, che gli emigrati olandesi chiamavano “Sinte Niklaas” e gli anglosassoni trasformarono in “Santa Claus”, al quale, nel 1863, il disegnatore Thomas Nast, diede l’aspetto definitivo che abbiamo ancora oggi. Egli ha in comune con il Santo a cui si è ispirato solo, la barba bianca e il fatto di essere entrambi dispensatori di regali.
Come si è affermato poc’anzi, i coloni olandesi trapiantati nel “Nuovo Mondo”, distorsero sia il nome di San Nicola che la sua immagine iconografica classica, facendone un misto fra un santo cristiano e il dio pagano Thor.
Il dio Thor, il cui etimo significa “Tonante”, per i teutonici era una divinità celeste, figlio di Odino e la dea Terra, Jordh, nonché marito di Sif e signore dei tuoni e fulmini, oltre che della tempesta.
Egli era signore e padrone di un regno chiamato Thrudvangnel quale sorgeva un enorme castello di oltre 500 camere, conosciuto come il “Castello del Fulmine”; egli si muoveva su un carro trainato da capre, che durante il Medioevo diventarono sinonimo del diavolo.
Secondo la tradizione classica, infatti, le capre erano gli animali totemici di Era, consorte di Zeus. Questo animale era anche la personificazione della dea, che veniva, però, trafitto da lance durante le feste a lei dedicate, poiché esso aveva svelato a Zeus il nascondiglio di Era, quando questa cercava di sottrarsi alle ire del suo divin consorte.
Zeus, invece, aveva trasformato, suo figlio Dionisio, nato da una relazione con Semele, in un capro nero per salvarlo dalle grinfie di sua moglie Era; per questo motivo gli adepti al culto di Dionisio, squartavano un capro selvatico per cibarsene.
Molte divinità silvane venivano identificati con questo animale, quindi, diventa ovvio la loro demonizzazione da parte della cristianità, poiché essi rappresentavano un retaggio di antichi culti dedicati alla natura.
Il simbolo che contraddistingue Thor, è il martello forgiato dal nano Sidri ed aveva la particolarità di tornare, a mo di boomerang, sempre nelle mani del suo padrone. Mentre il nano stava costruendo questo oggetto, venne infastidito da Locki, una divinità malefica e dispettosa che veniva chiamata anche “L’Ingannatore”, per la sua propensione a fare scherzi dannosi, che trasformatosi in mosca si divertiva a infastidire Sidri, che, a causa di questa interferenza, costruì il martello con il manico troppo corto!!
Questa potente arma poteva uccide, ma poteva dare anche la vita, poiché questo nume, usava la sua arma per benedire le unioni di giovedì, giorno a lui dedicato; infatti giovedì in inglese si dice Thursday che non è altro che la corruzione delle parole Thor’s day, cioè il giorno di Thor.
Egli possedeva una forza straordinaria che gli perveniva da una cinta magica, la quale gli raddoppiava il vigore. Il suo culto rimase vivo per tutto il medioevo, finché il re Olaf II lo sradicò anche con l’uso della forza, convertendo i suoi sudditi al cristianesimo.
San Nicola rappresenta, come d’altronde Merlino, il punto di unione spirituale tra cristianesimo orientale ed occidentale; poiché il suo culto dall’Italia si espanso in altri paesi come: Gran Bretragna, Belgio, Olanda etc. anche la chiesa Ortodossa nutre un grande rispetto e devozione per lui che è anche il Patrono della Russia e della Grecia.
Sono fiorite molte leggende sulla larghezza di mezzi di san Nicola e perciò si è ipotizzato che egli fosse il possessore del Santo Graal o che addirittura egli fosse il Graal stesso, poiché non conosciamo la reale forma del oggetto in questione tutte le ipotesi possono essere giuste.
In alcune fiabe si narra che il Santo Graal fu donato a Nicola da Gesù stesso sottoforma di bambino e forse questa fu una delle ragioni per cui le sue spoglie mortali furono all’origine di dispute accese tra molti potenti, tra cui anche il Papa, che allestì una spedizione per ritrovarle in una misera chiesetta sconsacrata nella terra degli infedeli.
Si racconta che tanti e tanti secoli fa in una delle tante città del mondo allora conosciuto, vivesse un nobile, che a causa di speculazioni sballate avesse perso tutti i suoi averi. Quest’uomo aveva anche tre figlie da marito, ma dato che non aveva niente non le poteva neanche maritare, e così queste erano destinate a diventare donne di malaffare. Questa famigliola, era, comunque, molto religiosa e pia e non passava giorno che essi non pregassero San Nicola. Il beato, commosso da tanta fedeltà nei suoi confronti, decise di intervenire e lo fece alla sua maniera: per due notti di seguito il Santo buttò delle monete d’oro attraverso la finestra della casa del pover’uomo; ma la terza sera Nicola, trovò le finestre sbarrate; così salito sul tetto lanciò le monete attraverso in cammino e queste finirono nelle calze delle giovani donne, appese lì ad asciugarsi. Così le ragazze poterono sposarsi e il Santo diventò protettore, anche delle fanciulle da marito.
Se ammettiamo che il Santo di Bari e Pollutri aveva il Graal o Egli fosse il Graal, questo in che cosa consisteva e quali erano i suoi prodigi?
La parola Graal,dal latino Gradalis, indica: una tazza, una coppa, una vasca, un calice, un catino e in generale una scodella ampia e piuttosto profonda. Questi oggetti non solo altro che una delle tante rappresentazioni fisiche del grembo fecondo della Magna Mater Terra, come dispensatrice di abbondanza.
Esso è “la coppa della vita” dei Celti che Artù recuperò, secondo alcune varianti del mito, all’inferno.
La tradizione cristiana parla di due contenitori divini: il calice dell’eucaristia e la Vergine, poiché nel suo grembo la divinità si manifesta nel piano fisico.
In origine, secondo alcune versioni, il Graal, era la pietra, chiamata “Lapis exillis”, secondo altre versioni esso sarebbe “Lapis ex coeli”, pietra venuta dal cielo, secondo altri uno smeraldo, più preziosa e lucente del diadema di Lucifero, l’Angelo più bello del Creato. Esso cadde sulla Terra quando questi ingaggiò battaglia con gli Angeli e fu raccolto dagli uomini che lo usarono per fini non sempre nobili.
Altre versioni sostengono che quando Seth, il figlio di Adamo ed Eva, cercò di salvare suo padre da una letale malattia, tornando nell’Eden, egli non trovò nessuna cura specifica per lui, ma una cura per tutti i mali del mondo, insieme a una promessa che Dio non avrebbe mai abbandonato il genere umano e pare che questo fosse il Graal.
Esso è un oggetto “magico”che può far guarire le ferite, dare la vita eterna, sconfiggere la morte, dare ricchezza, abbondanza e potere, ma se usato in maniera errata, può avere conseguenze devastanti. Alcuni esoterici lo considerano il “Cuore di Gesù”; per altri è il cuore del pianeta Terra; Hitler lo considerava il potere assoluto; per altri ancora è un oggetto di origine aliena e come tale dotato di una forza primordiale e terribile!!!
Questo sacro oggetto, comunque, smette di essere qualcosa di metafisico per entrare nella realtà percepibile, quando Giuseppe D’Arimatea, un ricco ebreo forse parente di Gesù, raccoglie il Sangue del Cristo proprio nella coppa che poi verrà definita Santo Graal.
Dopo la crocifissione, il corpo di Gesù , fu dato in consegna a Giuseppe D’Arimtea e gli fu dato anche la coppa dell’Ultima Cena, con la quale il maestro celebrò questo rito. Secondo alcune versioni, sembra che Gesù avesse ricevuto questa coppa in Cornovaglia da un Druido convertito alla religione cristiana, molti hanno voluto vedere in questo sacerdote la figura del mago Merlino. Merlino, il cui nome significa “Sparviero”, era un grande stregone e incantatore. Pare che un certo Merlino, figura storica realmente esistita nel V sec. d. C., fosse al servizio di Ambrosio il Tiranno e Re Artù.
Si narra, a proposito della nascita di Merlino, che Satana, non potendo fermare l’emorragia di anime che sfuggivano alla dannazione a causa dell’opera di conversione portata avanti dal Cristo, decise che doveva nascere un bimbo dannato, poiché frutto dell’unione di una vergine con il demonio. La donna che si scelse per questo tipo di operazione era molto pia e devota e aveva un confessore molto perspicace che, intuito i piani di Satana, non fece ammazzare la donna ma la fece rinchiudere in una torre altissima, dove dopo aver partorito, il bambino le venne tolto e battezzato con il nome di Merlino, il rito cristiano, quindi, vanificò i piani malefici del principe del male.
Merlino, comunque possedeva degli enormi, strani e eccezionali poteri, che salvarono la madre dall’accusa di stregoneria.
Egli divenne, in breve tempo uno dei più famosi e stimati maghi e questa sua fama giunse anche alla corte d’Inghilterra, dove il re Vortigern, cercava di costruire una immensa fortezza nella piana di Salisbury, per difendersi dai nemici a cui aveva usurpato il trono, ma… le mura veniva costruite di giorno e… per uno strano fenomeno queste crollavano di notte, e così il giorno dopo si doveva iniziare il lavoro da capo. Il re allora consultò gli astrologhi, maghi, stregoni e personalità simili, ma la soluzione tardava a venire, così si pensò di consultare un’ autorità come Merlino, il quale in breve tempo sciolse l’arcano, dicendo che sottoterra vi erano due draghi uno rosso e l’altro bianco e che combattevano tutte le notti distruggendo la fortezza. I due mitologici animali furono scoperti e il rosso fu ucciso, mentre il bianco scomparve nella foresta.
Passarono anni da quella predizione e Merlino, dopo la caduta di Vortigern, per mano dei Britanni, aiutò questi ultimi contro Sassoni. Alla morte di uno dei due fratelli, re dei Britanni, egli eresse in sua memoria, Stonehenge. Merlino divenne fedele amico e servitore del re rimasto in vita. Quando Artù divenne re egli fu suo prezioso consigliere, gli forgiò l’armatura, plasmò lo specchio che mostrava tutto ciò che si voleva vedere, intarsiò una coppa, forse il graal, che mostrava la rettitudine di colui che vi bevevo, in caso contrario il liquido si rovesciava, etc…; questi sono solo alcuni dei prodigi compiuti dal potente mago, che secondo alcune leggende, fu reso inoffensivo da una delle sue innumerevoli amanti, Viviana, la Dama del Lago, che dopo avergli rubato tutte le arti magiche, fece un incantesimo che lo imprigionò in un cespuglio di biancospini, che la tradizione vuole che indichi un varco spazio temporale per accedere al mondo delle fate e del piccolo popolo.
Secondo un’altra versione, pare che Merlino sia stato imprigionato da Viviana in una reggia sotterranea dove vive tuttora, ma nessuno lo può raggiungere perché non si conoscere la sua vera ubicazione.
Un’altra leggenda narra, ancora a proposito della morte del mago, che dopo una battaglia divenne pazzo spezzò la spada e scomparso nella foresta, dove morì sulle rive di un fiume. Tornando alla crocifissione di Gesù, quando il cadavere fu dato al ricco ebreo, egli lo lavò, ma… mentre faceva questo dalle ferite uscì del sangue che Giuseppe raccolse nella coppa, quindi il Corpo fu avvolto in un sudario e fu messo nel sepolcro, ove dopo tre giorni Resuscitò.
Dopo la Resurrezione Giuseppe fu imprigionate dai romani con l’accusa di sottrazione di cadavere e privato del cibo, fu lasciato languire in un umida cella, dove un giorno gli apparve Gesù risorto ammantato di luce che gli consegnò la coppa rivelandone, le sue virtù ; Giuseppe fu tenuto in vita grazie a una colomba che portava tutti i giorni un’ostia nella coppa.
Era il 70 d. C. quando Giuseppe D’Arimatea fu scarcerato, insieme a sua sorella e a suo cognato Bros. Questi scelsero, per causa di forza maggiore, l’esilio e partirono su una nave che li portò oltreoceano , verso un’isola sconosciuta dove, perpetrarono le loro tradizioni.
Qui costruirono una tavola come quella usata per l’Ultima Cena dove presero posto dodici commensali, mentre il tredicesimo fu lasciato vuoto, perché era quello che avrebbe dovuto essere occupato da Gesù o da Guida. Se questa sedia veniva inavvertitamente occupata essa eliminava all’istante il commensale, per questo esso ebbe il nome di “Seggio Periglioso” e la tavola fu chiamata “Prima Tavola del Graal”.
Passarono alcuni anni in questa terra sconosciuta e Giuseppe sentì il bisogno e la voglia di andare via e durante uno dei suoi tanti pellegrinaggi per le vie del mondo, si fermò in Bretagna precisamente a Glastonbury, dove fondò la prima comunità cristiana che doveva soppiantare l’antica religione dei Druidi. Il primo tempio cristiano, qui fondato fu dedicato alla Madonna o, secondo alcune versioni a Maria Maddalena e in questo luogo che rimase il Graal che veniva utilizzato durante la funzione religiosa.
Alla morte di Giuseppe il Graal fu custodito da suo cognato che grazie alla coppa riuscì a sfamare tutti i suoi seguaci. Dopo Bros il Graal passò nelle mani di un nuovo custode che conservò la sacra reliquia in un castello sulla Montagna della Salvezza di cui ignoriamo l’ubicazione.
Nacque in quegli anni anche un ordine cavalleresco che, venne denominato come l’Ordine dei Cavalieri del Graal, con il compito di proteggere questa coppa; essi si nutrivano delle ostie che la reliquia dispensava e il loro capo e custode del divino recipiente ricopriva la carica di Re Sacerdote.
Uno di questi custodi fu ferito, secondo alcune versioni, dalla lancia di Longino e divenne sterile come la terra nella quale era ubicato il castello che custodiva la divina coppa.
Molti hanno visto un parallelo tra il Re Ferito, come venne denominato da allora in poi il custode del Graal, e la figura di San Rocco che in molte immagini viene raffigurato con una ferita alla gamba.
Il Re Ferito trovava sollievo solo pescando e così fu definito anche come Re Pescatore ed egli sarebbe stato salvato da una domanda ben precisa fatta da un cavaliere puro di cuore; da qui che inizia la saga di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Secondo alcune versioni del mito, dopo che Giuseppe approdò sulle coste inglesi, consegnò l’oggetto nelle mani di un custode chiamato il “Ricco Pescatore” o “Re Pescatore”, in onore di Gesù che aveva compiuto il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Uno dei tanti custodi del Graal, pare sia il nonno di Prete Gianni, figura leggendaria il cui nome è legato alla leggenda della fonte dell’eterna giovinezza e di Eldorado, la città tutta d’oro!!
Passarono anni e anni e a questi seguirono i secoli finché si perse la tradizione del custode del Graal, e con questi si smarrì anche la sacra coppa. Sulla Bretannia si abbatté una tremenda maledizione chiamata dai Celti “Wastland” cioè “La Terra Desolata”, uno stato di povertà, carestia e distruzione sia fisica che spirituale, provocata dal “Colpo Doloroso” scagliato da Balin il Selvaggio, con la lancia di Longino, nei genitali del Re Pescatore. Per neutralizzare questo stato di cose, era necessario trovare il Graal, come simbolo della purezza.
Tornando alla lancia di Longino, essa è l’arma con cui il centurione romano trafisse il costato di Gesù crocifisso, pare che avesse, come il Graal, delle doti magiche molto forti, perciò fu custodita insieme ad altre reliquie come: ad una spada e al piatto che resse la testa di Giovanni Battista, all’interno del castello del Monte della Salvezza.
Questi quattro oggetti magici hanno influenzato la nostra cultura italiano poiché sono riprodotti nei semi delle carte da gioco.
Questa tradizione degli oggetti magici ha radici molto antiche e profonde presenti in culture millenarie come quelle asiatiche nelle quali si raccontano leggende secondo cui degli angeli sarebbero scesi dal cielo e si sarebbero stabiliti nel deserto dove avrebbero rivelato agli uomini la loro cultura superiore.
Prima di scomparire per sempre essi avrebbero lasciato agli uomini quattro potentissimi talismani in grado di conferire poteri simili agli dei: una pietra, una spada, un calderone e una lancia. Questi oggetti sono presenti in quasi tutte le tradizioni. La pietra, ad esempio, potrebbe essere quella nera della Ka’ba, la spada potrebbe essere quella nella roccia, la coppa il Graal e la lancia forse quella di Longino.
Come si è detto per sconfiggere il “Wastland” abbisogna trovare il Graal, ma che fine fece quest’oggetto dopo la morte di Gesù?
Per avere una risposta bisogna seguire la strada che fece la coppa nella sua millenaria storia.
Alla morte di Erode, Israele, fu divisa in un mosaico di staterelli, che solo nel 6 d. C. divennero Provincia romana, con tutti gli onori e oneri che ciò comportava.
Gli ebrei insofferenti all’allora stato di cose, insorsero, dapprima con piccole sommosse culminati, poi, in vere e proprie rivolte. Mentre la Galilea bruciava, Roma, inviò un poderoso esercito per domare questi fuochi atti a spezzare il giogo degli invasori; paese dopo paese, città dopo città la zona settentrionale della Galilea si arrese e l’esercito giunse fino alle mura di Gerusalemme dove, forse corrotto dagli insorti, esso si fermò. Nonostante queste vittorie, gli ebrei continuarono a lottare e così nel 66 d. C. il generale Vespasiano, futuro imperatore, fu incaricato di riportare la pace nella provincia.
Era il 68 d. C. quando le truppe del futuro imperatore si fermarono, a causa della morte di Nerone, tornando a Roma. Nei diciotto mesi di tregua, gli ebrei non riuscirono a riorganizzare una resistenza duratura e così mentre Vespasiano fu incoronato imperatore suo figlio Tito partiva alla volta di Gerusalemme per riconquistarla.
L’assedio fu lungo e sanguinoso ma alla fine i romani ebbero ragione degli assediati e così entrarono trionfalmente in città dove si abbandonarono a ogni genere di violenza. Molti furono crocifissi sulle mura della città, le strade pullulavano di cadaveri appesi alle croci. Gerusalemme era un immenso pantano di sangue, dove si camminava immersi nel sangue fino alle ginocchia; il tempio fu profanato, derubato bruciato e infine raso al suolo, sulla cui terra fu buttato il sale.
Alcuni gruppi di persone appartenenti alla casta degli Zeloti si arroccarono nell’antica fortezza di Masada, essi resistettero per lungo tempo, finché, come narra una leggenda, una ragazza si innamorò di un soldato; essa, per amore, rivelò all’uomo dove erano i pozzi che alimentavano la città, i romani, allora, chiusero i pozzi e gli assediati furono costretti a arrendersi, ma per non subire l’onta della sconfitta si uccisero tutti. I romani penetrarono nella cittadella e trovarono solo tanti cadaveri sparsi per la città.
Dopo aver domato la rivolta Tito fece erigere delle mura intorno al monte Golgotha e vi mise della terra intorno, quindi, lo fece spianare fino a trasformarlo in un pianoro, che conteneva al suo interno il Sepolcro con le spoglie mortali del Cristo. Non contento di ciò proibì il culto del cristianesimo e gli ebrei furono costretti a disperdersi per i quattro angoli del mondo.
Furono anni difficile per i cristiani e le loro tradizioni, queste infatti, furono affidate a sette segrete con a capo un vescovo di nome Marco.
Con l’avvento di Costantino sul trono, le cose cambiarono radicalmente; i cristiani uscirono dalla clandestinità e quando nel 314 divenne signore anche delle terre d’oriente, lui e sua madre Elena, rimasero affascinate dalle leggende che aleggiavano intorno al Santo Sepolcro. Così in breve tempo si iniziarono gli scavi per riportare alla luce questi tesori; si narra, che durante questi lavori, Elena avesse trovato un oggetto, forse una coppa, dove si raccolse il Sangue di Gesù.
A questo punto la storia del Graal si fa sempre più confusa e lacunosa; secondo alcune fonti esso finì in Bretannia, dopo che Roma fu depredata dai Visigoti nel 400 d. C. e pare che questa reliquia giaccia in fondo a un pozzo a pochi passi dalla presunta tomba di un nobile cavaliere, forse re Artù.
Altre testimonianza parlano di un imperatore bizantino che nel I secolo d. C., dopo aver sottratto ai persiani alcune reliquie, forse anche il Santo Calice, esse siano state portate a Costantinopoli.
Alcune leggende affermano che a Costantinopoli vi fossero confluite tantissime reliquie sacre tra cui la Sindone, i Chiodi con cui Gesù fu crocifisso, alcune spine della Corona, di cui una oggi è a Vasto e naturalmente il Graal, che pare contenesse la Sindone medesima.
Sembra che questi due oggetti abbiano seguito lo stesso cammino, ma queste sono solo supposizione; comunque il Santo Sudario, nel 1204, durante il sacco di Costantinopoli, da parte dei Templari, era qui e fu portata poi a Lirey in Francia da qui a Torino.
Alcuni affermano che la Coppa si troverebbe sepolta al centro della chiesa piemontese della “Gran Madre”; altre tesi sostengono che essa si trovi in una chiesa francese del paesino di Rennes Le Chateau; alcuni affermano che esso si trovi a Castel del Monte se non addirittura che questo edificio sia il Graal stesso; altre leggende dicono che il Graal si troverebbe a Lanciano; altri sostengono che la coppa magica si trovi a Bari in un posto indicato da una stilizzazione sul portale della chiesa di San Nicola, che per molti è egli il Graal medesimo, perché emana la “manna” che nutre e guarisce da ogni malattia.
Riassumendo siamo partiti dal concetto della sovrapposizione di Babbo Natale a San Nicola, che è detto anche il Santo dell’abbondanza, perché probabilmente possedeva una coppa magica, cioè il Graal, l’oggetto più amato, desiderato, agognato e cercato di tutta la storia dell’umanità!!
Per questo le spoglie di San Nicola furono alacremente cercate e trovate da alcuni emissari del Papa, che sperava di trovare qualcosa di più che un mucchio di ossa!!
Comunque sia esse vennero portate a Bari dove riposano ancora e quando i popoli che vivevano negli Abruzzi, vennero a contatto con quelli delle Puglie, attraverso la millenaria pratica della transumanza, iniziarono a venerare questo Santo.
A un certo punto le strade del Graal, di San Nicola e Babbo Natale, sembrano incrociarsi e sovrapporsi fino a quando di questa misteriosa e sacra coppa non si persero le tracce, del Santo di Bari e Pollutri non si ritrovarono le spoglie e di Babbo Natale non si fece un business!!!
Ovviamente siamo nel campo delle leggende e a tutt’oggi è difficile dire dove finisce la storia e si entra nel mito, comunque la ricerca del Graal è un capitolo ancora aperto che forse non si chiuderà mai se non con l’estinzione dell’umanità, poiché esso può rappresentare l’eterna ricerca che l’uomo fin dagli albori della storia porta avanti, per trovare delle risposte ai molti quesiti che la vita e la storia gli pone davanti.