Il tesoro scomparso di Caio Cestio

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Storia e segreti della bianca piramide: il sepolcro vuoto di un uomo dimenticato dalla storia

di Alessandro Moriccioni e Andrea Somma

L’Egitto è sempre stato il paese delle piramidi per eccellenza. Tuttavia la maggior parte delle strutture aventi questa particolare forma non si trova nella Valle del Nilo, ma in Sudamerica. Esistono poi altri edifici similari in ogni parte del mondo. Dalla Cina alla Micronesia, dal Sudan al Giappone, dall’Inghilterra all’Italia.
Nel nostro paese si ergono edifici cultuali aventi le caratteristiche delle ziggurat babilonesi in Sardegna, in Sicilia e in Lombardia. Non è ancora possibile effettuare un sicuro censimento di queste particolari opere architettoniche poiché o sono ancora parzialmente interrate o non sono riconoscibili. Ma il loro significato simbolico, universalmente riconosciuto, è ben presente nelle menti di tutti gli studiosi.
Certamente sarebbe stato impensabile non riscontrare anche a Roma, che per un periodo ha dominato l’Egitto, la presenza di quel inafferrabile concetto posto dietro un simbolo tanto potente ed ammaliante come quello della piramide. Nel Rinascimento, infatti, e durante l’Illuminismo anche Roma, al pari di altre metropoli europee ed extraeuropee, divenne una  città dalla forte componente egizia che gli storici sono unanimi nel definire egittomania.

Una visita a Caio Cestio
Sotto la pioggia le meraviglie antiche della Città Eterna sembrano fondersi col cielo grigio e avorio dell’inverno in una mistura che esalta il prezioso marmo ecclesiastico dell’immensa cupola di San Pietro che scompare nella  bruma del pomeriggio surreale. Sorprendere i monumenti di questa Capitale magica e caotica nella loro intimità, come montagne spazzate dal vento o isole celate dalla nebbia, è un’esperienza indescrivibile. Un’emozione che svela e ugualmente occulta i molti volti enigmatici di questa foresta di pietra.
La città si sarebbe chiamata come il fondatore, conservando lo stesso nome di Roma, e ognuno dei suoi abitanti si sarebbe chiamato Romano (1).
E’ questo che Dionigi di Alicarnasso scrisse a proposito dell’origine del nome di Roma nelle sue note Antichità Romane. Ne parlò in un passo in cui narrava della tregua tra Romani e Sabini allorché Romolo e Tazio, rispettivamente sovrani dell’uno e dell’altro popolo, decisero di vivere in pace regnando entrambi di comune accordo.
Leggemmo questo interessante riferimento nel libro del professor Andrea Carandini, Roma, Il Primo Giorno, mentre ci stavamo recando, appunto, a Roma. Avevamo fissato una prenotazione con la società speleologica Roma Sotterranea (il cui presidente Marco Placidi è un nostro buon amico) per una visita alla piramide di Caio Cestio nel Rione Testaccio.
Vorrei prendere per mano il lettore scrive sempre il celebre archeologo Carandini, farlo scendere per circa 13 metri nel sottosuolo di Roma – lì dove un tempo, su macerie e immondizie, crescevano gli abitati – e risalire per oltre 27 secoli alla ricerca del primo giorno della città: il 21 aprile di un anno intorno al 750 a.C.
L’introduzione di Roma, Il Primo Giorno è illuminante. Ci dà la completa visione di cosa sia lo studioso e di che linfa si nutra l’archeologo. Ma anche se potrebbero venirci in mente altri esempi come quelli narrati da Giovanni Battista Belzoni in Viaggio e Scoperte in Egitto e in Nubia, mentre disseppellisce il tempio di Abu Simbel, o riferiti da John Lloyd Stephens quando scopre la civiltà Maya, siamo comunque di fronte alla più eccitante delle avventure. Tornare all’origine della Città magica per eccellenza. La Città Eterna che fu Caput Mundi e che fu in seguito sede della Chiesa fondata, almeno idealmente, dal Cristo.
Di questa stessa tempra è l’intero staff di Roma Sotterranea, fatto di professionisti che, come recita il motto della società, mettono al servizio la speleologia per l’archeologia. Per la nostra ricerca ci riferimmo a loro poiché, da qualche anno, stavamo raccogliendo informazioni sulla piramide e sul complesso funerario che la circonda e per dare una risposta alle domande che ci eravamo spesso posti.
Roma ebbe origine dal seme gettato nel 750 a.C. da un popolo misterioso della cui provenienza non conosciamo che leggende offuscate dallo scorrere dei tempi. Qualcuno ha voluto vedere nei fondatori Romani un prolungamento della popolazione etrusca che sembra abbia governato la città durante i suoi primordi. Ma gli stessi Etruschi, che giunsero in Italia con le migrazioni indoeuropee dopo la fase di Optimum Climatico(2), erano in realtà figli di nessuno lasciati dagli storici romani, che li detestavano(3), alla mercé di una memoria storica troppo spesso “personalizzata”.
E’ perfettamente comprensibile che nel Rinascimento, come accadde per l’Egitto, Roma acquisisse da questo suo mistero una dimensione esoterica e mistica dove la ricerca alchemica si fuse con la visione romantica di una città magica e indecifrabile, dove le antichità imperiali riecheggiavano uno splendore mai sopito.
La fulgida daga romana, infatti, aveva conquistato e dominato i popoli saggi del Medioriente facendo confluire nella Città Eterna il sapere iniziatico da ogni dove. Dunque Roma fu un vero e proprio crocevia, una fonte ineguagliabile dalla quale abbeverarsi per riscoprire  l’Arcana Sapienza. Questo era il punto di vista di tutti quegli artisti e studiosi che, tra la seconda metà del ‘400 e la prima del ‘800, vennero a Roma con chiari fini esoterici. Lo stesso motivo che spinse la Massoneria, scomunicata dal papa, ad impadronirsi della città per farne la Capitale di un regno dichiaratamente massonico.

La piramide misteriosa
Accedemmo all’area degli scavi, sotto una finissima pioggia, con la guida di Fabio Astolfi, laureando in archeologia, collaboratore e membro di Roma Sotterranea.
La piramide è uno dei monumenti più caratteristici della città di Roma, ma sebbene ricordi le piramidi egizie è un monumento realizzato interamente “alla romana”. I materiali, le dimensioni e la struttura sono tipiche dell’edilizia romana. In effetti, in accordo con la tradizione, al centro della piramide non si trova che un’unica camera sepolcrale.
La piramide di Caio Cestio è l’unica costruzione avente questa forma sopravvissuta sino al nostro tempo, ma non fu la sola opera piramidale realizzata a Roma nell’antichità. Nel 31 a.C. infatti, la flotta egizia fu sconfitta dai Romani. l’Egitto divenne così una provincia romana e di conseguenza sbarcarono in città anche nuovi influssi artistici, religiosi e culturali. La forma piramidale fu una delle prime ad arrivare seppure, essendo in un periodo di transizione tra l’età repubblicana e quella imperiale, ciò che era troppo diverso non era visto di buon occhio ma era considerato alieno. Infatti la piramide ebbe un breve successo, ne furono realizzate appena quattro, almeno per ciò che sappiamo, dopodichè questo modello fu definitivamente abbandonato.
Tra le piramidi non più esistenti, di cui ci è giunta notizia, la più famosa è certamente quella conosciuta con il nome di Meta di Borgo raffigurata nel portale della Basilica di San Pietro, fuso da Filerete nel 1439, ed in un affresco situato nelle logge vaticane rappresentante la battaglia di ponte Milvio(4). Questo mausoleo piramidale si trovava proprio nel perimetro che oggi racchiude lo stato Vaticano ed era detta nel medioevo meta per la sua somiglianza con la struttura presente sulla spina dei circhi(5), che aveva appunto questa forma. Sembra che la Meta di Borgo avesse dimensioni leggermente più grandi di quelle della piramide di Caio Cestio, e fu demolita attorno al 1500 da Alessandro VI per motivi urbanistici e per il recupero dei materiali. Infatti anche questa struttura era completamente ricoperta da lastre di marmo che furono riciclate per la costruzione di altri edifici di epoca rinascimentale. La stessa cosa accadde pochi anni più tardi con i Fori, smantellati dal suo successore Giulio II per produrre montagne di calce(6).
Nella mappa di Roma dipinta da Alessandro Strozzi nel 1474 è possibile scorgere entrambe le piramidi, quella di Borgo, allora ancora esistente, e quella di Caio Cestio. Nel tempo ovviamente queste due costruzioni saranno denominate in modo nettamente diverso, infatti diverranno rispettivamente Meta di Romolo e Meta di Remo. Nel medioevo era prassi comune attribuire i monumenti antichi a personaggi leggendari legati alla mitologia locale. Questo accadde anche alla piramide di Caio Cestio che, essendo inglobata tra le mura della città, poteva ricordare l’antica contesa tra Romolo e suo fratello Remo. Il primo uccise il secondo a causa dell’affronto apportato alla città che si stava fondando, scavalcando la linea che ne tracciava il perimetro(7). La leggenda dunque voleva che Romolo avesse costruito per suo fratello il sepolcro piramidale tra le mura a ricordare il pericolo corso dalla città per quell’azione sconsiderata e nefasta. Per lo stesso motivo non sappiamo a chi appartenesse la scomparsa Meta di Borgo, o Meta di Romolo, poiché non ci sono giunte testimonianze riguardo le epigrafi che certamente vi erano scolpite, eclissate dalle credenze popolari.
Secondo storici ed archeologi, sembra che altre due piramidi fossero presenti nella zona di Piazza del Popolo, dove attualmente si trovano le due chiese gemelle dedicate alla Vergine. Queste due ulteriori piramidi s’innalzavano una di fronte all’altra, proprio come fanno oggi le due chiese che forse sorsero sopra i due precedenti siti equivocandone, ipotizziamo noi, la funzione. Forse, le due piramidi, furono viste come facenti parte del culto di Iside, molto diffuso a Roma in epoca imperiale e paleocristiana. Iside infatti è la divinità che farà da modello per l’iconografia mariana. Anche questi due edifici piramidali furono ovviamente smantellati nel medioevo.
Ciò che permise, invece, alla piramide di Caio Cestio di sopravvivere sino ai nostri giorni furono le mura erette nel 275 d.C. Con la necessità crescente di una nuova e funzionale cinta muraria difensiva per la città di Roma, gli architetti si vedranno costretti ad inglobare al suo interno il sepolcro piramidale. Con la costruzione delle mura aureliane ebbe inizio il declino della città non più sicura entro i confini di un impero che andava velocemente disgregandosi. Con i 18 Km di mura realizzate, Roma si raggomitola su sé stessa rintanandosi come mai aveva fatto prima di allora. Moltissimi monumenti antichi finirono così per essere inglobati nelle mura come il celeberrimo Anfiteatro Castrense, Porta Maggiore, una parte dell’acquedotto cittadino e, ovviamente, anche la piramide di Caio Cestio. Tutto questo fu deciso con tutta probabilità per risparmiare tempo,  mezzi e materiali. S’intuisce come sbancare la piramide sarebbe stato troppo laborioso, mentre lasciarla oltre le mura avrebbe, in caso di assedio, fornito ai nemici un ottimo riparo, come ci spiegò anche Astolfi. Nel tempo si preferì non destabilizzarne la struttura, evitando di prelevare i preziosi marmi di copertura, per evitare cedimenti e pericolosi crolli della cinta muraria.
La piramide, come è noto, si trovava inserita nel bivio che sorgeva all’altezza dell’importante snodo commerciale della Via Ostiense. Una parte è ancora percorribile, mentre quella che corre all’interno delle mura aureliane, proprio davanti all’entrata del sepolcro di Caio Cestio, termina contro il muro di rinforzo del soprastante cimitero acattolico. Ma nel 275 d.C., nonostante la perdita d’importanza, si accedeva  a questo troncone stradale, che conduceva al Foro Olitorio e a quello Boario, attraverso una posterula ovvero una piccola porta aperta sulle mura. Quella stessa porta che, seppur modificata completamente durante il riassetto urbanistico del 1920, oggi permette di accedere al sito archeologico. Fortunatamente il progetto di costruzione di un’arteria stradale, che doveva attraversare il cimitero acattolico passando proprio sotto la piramide, fu abbandonata e le mura sbancate ricostruite.
Tornando alla piramide, si scopre che vi sono posizionati davanti, stranamente orientati verso i vertici dell’edificio, due basamenti per statue che oggi ospitano altrettante colonne rinvenute durante antichi scavi. Come spesso raffigurato da molti incisori nel passato, si pensa che ve ne fossero in tutto quattro. Una per ogni vertice.
Il lato della piramide, come verificammo, è quasi perfettamente allineato col Nord magnetico sull’asse laterale. Ma la leggera discrepanza di un grado sarebbe perfettamente comprensibile se essa fosse invece orientata sul Nord geografico, leggermente sfasato rispetto a quello magnetico. Questo rituale dell’allineamento astronomico-geografico ricorda molto quello riscontrato nelle piramidi di Gyza, in Egitto. Il lato opposto a quello dove è situata l’entrata osserva la costellazione di Orione durante tutto l’inverno. Queste osservazioni, per quanto ne sappiamo, non sono mai state compiute prima(8).

Tante epigrafi nessuna memoria
In un’incisione settecentesca raffigurante la piramide, è possibile ammirare le sue due facce principali; quelle libere dalla cinta muraria. Il lato sul quale si trova l’ingresso del mausoleo funebre era perfettamente allineato con il troncone stradale principale, che oggi tuttavia è caduto in disuso ed è quasi completamente scomparso.
Le epigrafi presenti sulle due facciate principali sono identiche ed esplicitano l’appartenenza del sepolcro.
Il testo in latino recita:

C.CESTIVS L.P. POB. EPVLO
P.R.T.R.P.R.VILVIR EPVLONVM

Il significato è chiaro: Caio Cestio figlio di Lucio (L.P. è da intendersi come L.F.) Pobilia Epulo. I cittadini romani avevano generalmente nomi composti di tre parti, il praenomen che corrispondeva al nome, il nomen gentilicum che indicava la famiglia di appartenenza ed il cognomen indice del tratto distintivo della persona. Per questo diciamo Caio Cestio Epulone. Pobilia, invece, indicava la tribù di Caio. Infatti, prima che Augusto dividesse la città in quattordici regioni, la divisione amministrativa era applicata agli abitanti dei quartieri, e non ai quartieri stessi, che appunto erano detti tribù o tribus(9). E’ chiaro che il nostro concetto di tribù è diverso, lo abbiamo ereditato dalla visone classica di “clan”, o di famiglia, come le 12 tribù ebraiche(10).
Tornando all’epigrafe scopriamo che egli era pretore, tribuno della plebe e settemviro epulone. Quest’ultima non era una carica politica, come ci si potrebbe aspettare, ma religiosa. Si trattava di un collegio formato da sette uomini, rappresentanti dei nobili, addetti ai banchetti sacri in onore delle divinità maggiori.
Le altre iscrizioni presenti sui lati della tomba si riferiscono a restauri più o meno recenti.
Il primo di questi  scavi, voluto da papa Alessandro VII nel 1663, corrisponde alla prima apertura del sepolcro in epoca moderna. Tuttavia nulla fu trovato nella tomba poiché, già in epoca medievale, tombaroli senza scrupoli ne avevano svuotato il possibile contenuto. Almeno così sembra.
Secondo l’epigrafe scopriamo che la piramide fu terminata in tempi da record. Probabilmente Caio Cestio non vide mai la conclusione dei lavori, ma volle che fosse attestato che, alla presenza di testimoni, la costruzione aveva richiesto “solo” 330 giorni per essere ultimata.

OPVS ABSOLVTVM EX TESTAMENTO DIEBVS CCCXXX

I basamenti statuari, che oggi sorreggono le due colonne doriche, ci informano, attraverso le solite epigrafi, che suo fratello si chiamava Lucio Cestio, probabilmente lo stesso architetto che progettò il ponte Cestio dell’isola Tiberina. Viene poi nominato anche Agrippa, parente di Augusto, grande urbanista ed ammiraglio della flotta romana. Fu proprio lui a sconfiggere le navi egizie e a sottomettere la Terra dei Faraoni, da tempo assoggettata alla dinastia tolemaica. Caio Cestio, dunque, era fortemente legato all’alta società dell’antica Roma. Probabilmente svolse un compito di primo piano, di tipo amministrativo, in Egitto. Di lui, tuttavia, non resta altro che la sua tomba. Non abbiamo memoria alcuna di chi fosse e di cosa facesse. Perché un personaggio tanto importante e tanto ricco, visto il patrimonio speso per erigere il suo santuario funebre, non ha lasciato tracce?
In più sappiamo che Caio Cestio fu costretto a vendere opere d’arte di grande valore e molto antiche. Infatti una legge definita suntuaria vietava di seppellire i morti con opere considerate di ingente valore artistico, per evitare che fossero sottratte al godimento del popolo. Con la vendita degli antichi arazzi orientali detti attalica o attalicor, egli fece scolpire due statue di bronzo che furono collocate sui già citati basamenti. Di queste statue non resta nulla, poiché i pochi frammenti rinvenuti sono spariti, come spesso accade, nei magazzini sotterranei dei Musei Capitolini.
Una stranezza ingiustificata. Niente prove se non una tomba. Non sappiamo nemmeno che faccia avesse Caio Cestio. Persino il suo ritratto è stato asportato dai ladri. Questo aspetto ci ricordò moltissimo la vicenda di Tutankhamon e di alcuni faraoni egizi in generale. Spesso il sovrano successivo cancellava la memoria di quello precedente che semplicemente scompariva dalle pagine della storia. Soltanto con incredibile tenacia gli archeologi sono riusciti a fare luce rispolverando alcuni di quei nomi. Certo, Caio Cestio non era né un faraone, né un reggente di alcun tipo, ma non doveva essere un perfetto sconosciuto nella società romana. La fortuna spesa nella costruzione del mausoleo avrà fatto discutere all’epoca. Ma nemmeno la chiarezza dell’epigrafe lo ha risparmiato all’oblio. Se non sapessimo leggere il latino, ancora oggi saremmo convinti che quella tomba appartenga a Remo.
Avvicinandosi all’entrata è possibile scorgere la breve galleria che conduce alla camera sepolcrale, unica sala presente nella piramide. Come si evince da un’attenta analisi della copertura, la piramide non è affatto costituita di blocchi, come le sue sorelle egizie, ma è coperta da una lastricatura in marmo di Carrara, materiale preziosissimo utilizzato in moltissimi dei monumenti dell’antica Roma. Questo stesso marmo scultoreo sarà utilizzato da Michelangelo per le sue opere.
Le pietre tagliate e sagomate sulla stessa via Mormorata, importante scalo litico, provenivano via mare dalle antiche e rinomate cave di Carrara. Una volta giunte nel porto di Ostia si facevano risalire attraverso il Tevere sino in prossimità del luogo ove oggi la piramide sorge indisturbata.
Una lastra “a scomparsa” sigillava l’accesso al sepolcro, interamente realizzato in calcestruzzo e solo ricoperto da quelli che sembrano blocchi di marmo. Un effetto davvero notevole che stupisce ancora oggi. Sul lato sinistro dell’entrata è presente un’ascia, o malimpeggio, un piccone dal manico corto, simbolo probabilmente dalla corporazione, come quelle dei muratori del medioevo, che realizzò l’opera.

Un tesoro scomparso o una tomba vuota?
Come abbiamo già ricordato, Caio Cestio sarebbe scomparso dalla storia se non fosse stato ricordato nelle epigrafi da lui stesso volute. Perché?
Quel giorno, mentre facevamo il nostro ingresso nella piramide ci facemmo spesso questa domanda.
Stando alla legge suntuaria che come abbiamo detto costrinse Caio Cestio a vendere i suoi amati arazzi orientali, che data al 18 a.C., ed alla citazione del suo erede testamentario, il nobile Agrippa morto nel 12 a.C., risulta evidente che il mausoleo piramidale in questione sia da ascriversi a questo lasso di tempo.
Il tesoro di Caio Cestio, ovvero tutto il corredo funebre che, su esempio degli antichi faraoni, egli avrebbe portato con sé, sparì, forse, durante il medioevo; quando una banda di ladri penetrò all’interno del sepolcro per razziarlo. Oggi gli archeologi possono solo immaginare il fasto del corredo che, pur non annoverando opere d’arte e d’antiquariato, doveva comprendere ori e suppellettili di ogni genere. Ma è davvero così?
Stando alla struttura interna della sala sepolcrale, che tra poco descriveremo nel dettaglio, sembra di trovarsi in una antica tomba tarquinense. O meglio, dentro la classica tomba etrusca affrescata. Le suppellettili etrusche erano sì spesso fastose, ma preziose lo sono più per gli archeologi che le rinvengono, poiché si trattava perlopiù di vasi dipinti e brocche, l’equivalente del nostro servizio buono. Forse, crediamo noi, poteva trattarsi del corredo matrimoniale se pensiamo che molte delle tombe etrusche scoperte erano destinate a coppie sposate. Poi c’erano ovviamente le armi e le collane, le fibule e le granaglie offerte ai defunti dai parenti. Siamo certi che Caio Cestio abbia portato ori e argenti nella sua tomba? Perché, se così fosse, non ci è pervenuta notizia di questo fastoso e insolito corredo mortuario?
Di Tutankhamon si favoleggiava come di altri e i tombaroli non ci mettevano molto a trovare le tombe dei sovrani che li avevano governati… Se si trattava di una fortuna, come spesso s’insinua, perché non ce n’è traccia nelle cronache?
E’ vero che se si fosse trattato di semplici vasi, qualche coccio di infimo valore sarebbe rimasto a testimonianza, ma dobbiamo considerare che anche le tombe etrusche furono svuotate di tutto, ed ancora in tempi recenti si ha testimonianza di una vera opera di smaltimento dei rifiuti. Di quei reperti che si consideravano sacrificabili dai proprietari dei terreni sui quali le necropoli sorgevano(11). Tutto questo potrebbe essere ovviamente accaduto e non servono tesori per spingere qualcuno a riutilizzare un sito dopo averlo ripulito.
All’interno della sala sepolcrale è possibile osservare il condotto scavato per raggiungerla. I tombaroli si calarono da questa apertura scolpendo addirittura in tutta tranquillità dei veri e propri gradini. Non devono essere certamente stati disturbati visto lo scempio sistematico operato all’interno della piramide. Inoltre, per giungere al preciso livello del pavimento, che oggi non esiste più in originale, dovevano aver fatto calcoli ben precisi capendo esattamente dove si trovava il basamento, allora completamente sepolto.
Spesso i tombaroli erano gli stessi operai che realizzavano le tombe dei loro ricchi committenti. Erano strettamente sorvegliati ma la storia insegna che fatta la legge vien trovato l’inganno. Dunque il mercato di suppellettili e di mummie, credute, non solo nel medioevo, medicamentose,  fu sempre florido. Certamente lo era anche al tempo dei romani. Dunque nessuno toglie la possibilità che tentativi di saccheggio siano stati effettivamente operati già poco tempo dopo la costruzione del mausoleo cestio.  Forse, non sappiamo in quale periodo storico, furono dei costruttori o degli operai a svuotarla avendo le conoscenze tecniche per calcolare esattamente tutti i parametri e portare a compimento l’opera.
Secondo gli archeologi, stando alle usanze del tempo, Caio Cestio dovrebbe essere stato cremato e posto all’interno di un’urna cineraria. Non sappiamo ovviamente se questo sia corretto poiché in epoca romana sono annoverate numerose opere di mummificazione, spesso realizzate da sacerdoti egizi provenienti dalla provincia appena conquistata. Vorremmo qui ricordare la splendida mummia bambina detta di Grottarossa, luogo del rinvenimento, che presenta uno tra i corredi più ricchi e splendidi che l’archeologia abbia mai riportato alla luce. Se su questa stessa base dobbiamo pensare alla sepoltura di Caio Cestio, allora il tesoro doveva essere magnifico. Ma come vedremo, i tombaroli non ne furono evidentemente soddisfatti continuando a scavare alla ricerca di un tesoro che davvero non c’era. Siamo certi che la tomba di Caio Cestio, non fosse completamente vuota come lo era la Grande Piramide in Egitto?
Ad ogni modo, come già accennato, se Caio Cestio decise di farsi mummificare, il suo corpo non deve essere durato a lungo poiché, già nel medioevo, gli elementi costituenti le mummie, quali bendaggi, ossa o brandelli di epidermide essiccata, venivano usati correntemente nella costosa farmacopea di guaritori e medici senza scrupoli e preparazione. Sappiamo anche di mummie che, ancora in tempi recenti, seguivano sedicenti egittologi e ricercatori in tour organizzati nei teatri di tutto il mondo dove il pubblico seguiva le operazioni di sbendaggio. Famosa è rimasta un’esibizione di questo tipo nella quale il dotto professore asserì di aver scoperto dai geroglifici presenti sul sarcofago (che assolutamente non sapeva decifrare) che la sua mummia un tempo era stata una principessa. Destò chiaramente ilarità quando con grande disinvoltura togliendole le bende mise in luce un rinsecchito ma vistoso pene.
Secondo gli archeologi, i tombaroli penetrando nella piramide portarono via tutte le suppellettili che costituivano il corredo funebre. Ma, stranamente, forse non trovando nulla e memori delle camere segrete interne alle piramidi egizie, che nel medioevo nessuno aveva comunque visto ma di cui forse si favoleggiava, tentarono di trovarne una in questa miniatura romana. Ma ad un certo punto dovettero desistere e restarono certamente delusi. Riuscirono soltanto a demolire i punti nei quali gli studiosi ipotizzano si trovassero le raffigurazioni del caro estinto. Magari tutto ingioiellato, tanto da indurre i ladri a cercarvi dietro la “cassaforte”. La cercarono in fondo alla sala ed anche sul soffitto dipinto con quattro figure alate o nike, dove si nota quanta perizia utilizzarono per puntellare la volta costruendo una sorta di ponteggio. Certo, se queste deduzioni, come sembra, fossero corrette non solo ebbero tutto il tempo che vollero per ispezionare la tomba, ma  fecero anche un lavoro del tutto inutile. Trovarono soltanto calcestruzzo e pietre. La moderna tecnologia ha poi accertato, con l’ausilio di uno strumento magnetico, che non esistono stanze segrete nella sfortunata tomba di Cestio. Altro che tesoro.
Forse, dunque, Caio Cestio era rappresentato vivo durante un banchetto in suo onore verso il quale muovevano quattro figure di sacerdotesse officianti in pose diverse(12). Questa scena, sempre se l’interpretazione è esatta, ricalca quelle visibili nelle tombe etrusche di Tarquinia dette a capanna. Queste raffigurazioni sono state spesso messe in relazione con l’arte pompeiana vero e proprio metro di paragone, addirittura diviso in stili e periodi, per gli studiosi del passato. Ancora oggi qualcuno utilizza questa paradossale datazione ma come giustamente osservò quel giorno la nostra guida, Fabio Astolfi, non è possibile continuare a datare un affresco prendendo come spunto una città provinciale che scomparve dal panorama storico nel 79 d.C.
Tuttavia la stessa divisione geometrica dello spazio riscontrabile negli affreschi della piramide Cestia era una costante a  Pompei come a Roma. Quasi un’arte minimal chiaro escamotage atto a riempire, senza ostruire, ambienti piccoli o ipogei. Si usava anche nelle domus romane quasi come si trattasse di quadri appesi alle pareti, spesso erano dipinte vere e proprie porte false o paesaggi(13).
Nel 2000 in occasione del Giubileo di Roma la piramide fu restaurata con fondi pubblici e restituita al suo antico splendore. Per l’ennesima volta fu quindi ribadita dagli archeologi l’ipotesi che la spaziosa entrata cunicolare che conduce alla camera sepolcrale, fosse stata realizzata di tali dimensioni per ospitare il passaggio di un corredo piuttosto voluminoso. Ma la tesi non convince affatto. Unica consolazione degli sfortunati tombaroli sembrano essere stati due elementi, forse in bronzo, prelevati ai lati dell’ingresso. Probabilmente si trattava di supporti per torce a fuoco, di cui sono visibili le macchie provocate dal fumo, rivenduti e riutilizzati chissà dove. A nostro avviso questa sarebbe la prova definitiva che non esistette nessun tesoro o corredo sfarzoso, considerato che i ladri “si attaccarono davvero a tutto”, come si suol dire. Perché mai avrebbero dovuto faticare ad estrarre e trasportare dei semplici supporti per la luminaria quando avrebbero razziato interamente capre e cavoli ben più preziosi? E, ammesso che il saccheggio sia stato contemporaneo in ogni sua parte, perché non ce ne è giunta notizia?
La realtà è che Caio Cestio non scelse la forma piramidale per puro esotismo. Egli sapeva benissimo che correva il rischio di furto e profanazione della sua tomba, così come lo sapevano i faraoni che punivano con la morte quello che le maledizioni non riuscirono mai a tenere lontano. Certamente Cestio non agì con superficialità. Una tomba come la sua faceva notizia e gola, a Roma come ovunque nel mondo.
Infine, la piramide fu sigillata e solo Caio Cestio vi fu deposto. Si pensa che fu lasciata una fiaccola ad ardere fino alla fine, per uccidere tutti i batteri presenti assieme all’ossigeno e consegnare l’eventuale mummia ad un riposo eterno ma non certo indisturbato. Certo, sempre che avesse deciso di restare intero anziché divenire cenere.
C’è da dire che ad un riutilizzo della piramide effettivamente si pensò davvero. Esiste un disegno autografo del Borromini del XVII secolo nel quale il sepolcro di Caio Cestio è rappresentato a mo’ di chiesa cristiana. Le numerose visite in loco dei pellegrini, spinti più dalla curiosità che dalla fede, avevano convinto le autorità ecclesiastiche a riconvertire ad uso cultuale la struttura che spesso visitavano. Fortunatamente questo ulteriore scempio fu risparmiato al povero Caio che ormai da tempo non era più il padrone di casa.
Dall’oscurità del corridoio che conduceva aldifuori della piramide comparve Marco Placidi, il presidente di Roma Sotterranea, con l’espressione tipica di chi ha molte volte incontrato la storia. Memori della visita presso l’enigmatico Emissario di Nemi, che si estende per circa un chilometro nella montagna, andammo a salutarlo con entusiasmo. Ne approfittammo anche per chiedergli d’inviarci una foto scattata in occasione della realizzazione di una puntata della trasmissione Rai Ulisse con Alberto Angela. Ci sorrise e cortesemente ci promise che l’avrebbe fatto. Sarebbe stata inserita, gli spiegammo noi, nell’articolo di Adriano Morabito, altro esponente dell’associazione, pubblicato sul nostro Magazine on-line e che appunto raccontava nei particolari quella splendida esperienza nei sotterranei di Roma. Lo ringraziammo e riprendemmo la nostra indagine scattando le ultime fotografie dell’interno della camera sepolcrale che, nel frattempo, si era svuotata degli altri visitatori e della guida.
Uscimmo dalla piramide con una serie di dubbi ma consci di aver realizzato una visita al più interessante e misterioso monumento archeologico di Roma.
Fabio Astolfi fu sempre molto paziente sottoponendosi per tutto il pomeriggio alla tortura del nostro registratore, perennemente acceso sotto il suo naso. Ci fu permesso di sostare soli ed indisturbati nella piramide per scattare alcune delle foto riprodotte in questo articolo. Lo salutammo avviandoci verso la posterula che ci aveva dato accesso a quella meraviglia del passato.
Tutte le incredibili incongruenze che abbiamo fino ad ora elencato sono solo alcune. Tutto l’intero complesso, che include il cimitero acattolico, presenta numerosi enigmi. Ma, per ora ed in attesa di ulteriori rilievi in loco, preferiamo soprassedere. Certo è che la bianca piramide romana non è stata affatto risparmiata dal tempo ma sopravvive, anche negli studi archeologici romani, come un relitto incomprensibile di un passato bistrattato e dimenticato, legato certamente ad un Rinascimento della Capitale in chiave esoterica. Ma questa è un’altra storia.
La pioggia aveva smesso di cadere mentre ci trovavamo nella piramide ed ora che ne eravamo usciti l’aria umida sembrava entrarci nelle ossa. Ripensammo, mentre attendevamo il treno, alla fine che gli studiosi pensano abbia fatto la mummia di Caio Cestio e ci guardammo sorridendo. Chissà se qualcuno nel passato sminuzzò le sue ossa per guarire dai reumatismi…

Note
(1) In realtà il nome Romolo deriva da una radice etrusca. Andrea Carandini, Roma, Il Primo Giorno, Laterza.
(2) Felice Vinci, Omero nel Baltico, Fratelli Palombi.
(3) David H. Lawrence, Itinerari Etruschi, Newton & Compton.
(4) Massenzio, nascoste le insegne imperiali, che verranno rinvenute dagli archeologi secoli e secoli dopo, affrontò Costantino nella celebre battaglia, ma rimase ucciso. La vittoria, secondo la leggenda, sarebbe stata profetizzata al nuovo imperatore da un segno nel cielo dove egli avrebbe scorto una croce luminosa recante la frase “In Hoc Signo Vinces”.
(5) Si trattava dell’elemento attorno al quale curvavano le bighe durante le corse nel circuito.
(6) Alberto Angela, Una Giornata nell’Antica Roma, Mondadori.
(7) Una connessione con l’antico Israele si può desumere dalla similitudine che scaturisce dal mito ebraico dove, come in quello Romano, anche Esaù fu esiliato dalla città fondata dal fratello secondogenito Giacobbe e morì attaccandola col proposito di conquistarla. Andrea Carandini, Roma, Il Primo Giorno, Laterza.
(8) Gli unici rilevamenti di cui si abbia notizia sono quelli effettuati sulle misure della struttura che qui riportiamo: 29,50 m di base x 36,40 m di altezza.
(9) Il territorio e gli abitanti della Roma primigenia erano divisi in tre parti dette appunto tribus. Andrea Carandini, Roma, Il Primo Giorno, Laterza.
(10) Su questo aspetto non siamo propriamente d’accordo poiché le tribus che formavano la Roma primigenia ricordano molto da vicino l’antica suddivisione biblica.
(11) David H. Lawrence, Itinerari Etruschi, Newton & Compton.
(12) Oggi tre delle teste delle sacerdotesse non esistono più e sono state misteriosamente asportate.  Inspiegabilmente le figure non furono staccate dalla parete per intero. In sequenza: la prima ancella è seduta davanti ad un vaso rituale e forse brucia degli incensi. La seconda figura porta olio in una brocca e cibo nel vassoio. La terza suona uno strumento a fiato detto tibia. La quarta legge una non meglio specificata pergamena. Forse quest’ultima completava il rituale leggendo  alcuni brani del Libro dei Morti egizio, anche se gli archeologi sono orientati nel dire che si potrebbe trattare del testamento del defunto o di preghiere in generale.
(13) Alberto Angela, Una Giornata nell’Antica Roma, Mondadori.