Continuano i nostri viaggi alla scoperta dei luoghi meno noti d’Italia. Questa volta visiteremo il comune di Mozzagrogna paesino situato nella bassa valle del Sangro, noto per il suo Castello…
di Nicoletta Travaglini
Mozzagrogna è una cittadina, della bassa Valle del Sangro, ubicata su un altura roccioso dal cui apice domina la sottostante vallata, che abbraccia: un ampio tratto del mare Adriatico, le colline di Paglieta, Atessa, Monte Pallano e un suggestivo scorcio della Majella.
Essa si chiamava fino al 1700 circa Villa Schiavone pare, infatti che fu fondata dagli Slavi, schiavi appunto, cacciati da Lanciano per il loro comporta-mento reazionario.
Nel 1700, essa cambiò il nome in Mozzagrogna, da una famiglia lancianese, che possedeva notevoli proprietà in quella zona. Esso si ubica sull’antico tratturo Aquila-Foggia, unica via di comunicazione per i nostri avi, ed esso essendo un possedimento di Lanciano, ne seguì sempre le sorti.
Tra il 1700 e il 1800 le notizie relative a questa cittadina, che oggi non di-pende più da Lanciano, sono scarse, ma sappiamo che la famiglia Marcantonio, ne possiede a tutt’oggi, delle aziende agricole e un palazzo, chiamato appunto Villa Marcantonio, costruito su progetto di Coppedè, all’inizio del novecento, poi dan-neggiato dalle guerre mondiali, come d’altronde tutto il paese, e infine restaurato dagli stessi proprietari.
Nel territorio di Mozzagrogna sorge il bellissimo e suggestivo Castello dei Septe dal passato glorioso e oggi hotel-ristorante a quattro stelle.
Il Castello di Septe si posiziona sulla riva occidentale del Sangro su un col-linetta rocciosa a circa un centinaio di metri dalla strada statale a scorrimento ve-loce “fondo Valle Sangro”.
Tra i castelli medioevali della zona frentana è quello più famoso e forse an-che il più suggestivo, anche per la sua travagliata e intensa storia che si snoda attraverso le pieghe del tempo a partire dai Conti longobardi teatini che lo costrui-rono nel IX – X secolo, adibita a residenza estiva per la sua particolare posizione, diventa anche sede di forti presidi di soldati oltre che fabbrica di armi e coloro che transitavano sul tratturo Aquila-Foggia dovevano anche pagare una specie di pedaggio ai signori del Castello.
La storia
Esso nasce con il nome di Castello di Septa, poi cambiato in Septe ma si chiamava anche Armania, da come leggiamo nell’atto di donazione fatta nel 1040 da Landolfo, figlio del Conte Trasmondo di Chieti, di metà del Castello e della Chiesa di Santa Maria in Calabria al monastero di San Giovanni in Venere. Fab-bricando armi, questo Castello ricopriva un ruolo primario nella realtà del suo tempo.
Ergendosi su uno sperone roccioso, in una posizione elevata rispetto alla via tratturale, aveva necessità offensive e difensive, così essa si difendeva cingendosi con forti e possenti mura, e nello stesso tempo, teneva sotto controllo il vastissimo feudo, chiamato con lo stesso nome del castello. La sua torre fornita di fessure e merlature era atta a una attiva difesa con frecce, balestre e olio bollente.
I signori dei “Sette” grazie ai loro abili e operosi fabbri, costruivano spade, lance, frecce, armature, mazze ferrate e tutto ciò che serviva per difendersi e com-battere i pericoli che in quei secoli bui erano oscuri e misteriosi.
Come abbiamo detto esso nasce come residenza estiva di signori longobardi in quanto luogo era ameno, grazie, soprattutto, alla sua particolare conformazione geomorfologica, al clima mite in inverno e fresco in estete, in quanto, mitigato dalla macchia mediterranea costituita da querce, faggi e lecci.
Grazie anche alla vicinanza del fiume Sangro questo castello era autosuffi-ciente, anche per quanto riguarda le vie di comunicazione, in quanto, le singole imbarcazioni potevano risalivano il fiume fino ad infilarsi a pochi metri dal ca-stello. In questo luogo abbondano anche la selvaggina e così oltre che una vasta varietà di pesci la quale costituiva una vera manna per i sontuosi e abbondanti banchetti che si tenevano nella Rocca.
La leggenda
Nel 1062 il Castello dei Septe era abitato da Trasmondo conte di Chieti a cui e legata una leggenda.
Nel pescarese durante la Settimana Santa alcuni giudei schernirono e profanarono, trafiggendolo con lance, una statua lignea raffigurante il Cristo Morto, non appena compiuto lo scempio, la statua iniziò a sanguinare, gli spaventati profanatori raccolse il sangue in un’ampolla vitrea e preso la statua si dettero alla fuga, sparpagliandosi. Uno di essi, in maniera fortuita, si venne a trovare nei pressi del castello e accusato di stupro venne portato al cospetto del Conte il quale im-prigionò. L’uomo, forse per una crisi di coscienza, confesso l’atroce burla perpetrata ai danni del Cristo, chiamando in causa anche gli altri suoi compagni che ar-restati, torturati e alla fine uccisi, svelarono il luogo dove si trovava l’ampolla e la statua. Il Conte incaricò suo figlio di ritrovare gli oggetti sacri e in breve tempo questi furono portati a “Sette” dove stettero per un po’ di tempo. Sembra che quest’ampolla miracolosa, tra i tanti prodigi operati vi fosse anche la guarigione di un indemoniato, oltre che a numerose conversioni.
In seguito a questi eventi soprannaturali, Conte riunì gli ecclesiastici per chiedere delucidazioni e discutere sul da farsi, allora si decise di trasferire l’ampolla nella chiesa di San Salvatore sul fiume Pescara, nelle vicinanze del luogo dove era accaduto il fatto. Una lunga processione di penitenti, guidata dal Conte e la Contessa, accompagnò queste reliquie nel luogo dove forse ancora oggi dimorano.
Un passato travagliato
Era il 1070 circa quando attraverso la vecchia via Traiano-Frentana che i normanni penetrarono nella nostra regione. Arrivati come semplici mercenari nelle lotte tra bizantini e longobardi, finirono per essere i nuovi “padroni”. Guidati l’ambizioso e feroce Ugo di Malmozzetto nella sua furia conquistatrice non risparmiò, né il monastero di Santo Stefano Rivamaris, a Casalbordino, né il Castel-lo dei Septe e alla fine si fermò a Lanciano.
La travagliata storia del castello si snoda nei secoli bui del medioevo, quando nel 1259 Manfredi, figlio naturale di Federico di Svevia, e re di Sicilia, dichiarò Lanciano terra demaniale, donandogli i castelli di Sette e di Piazzano. Con la prematura sconfitta e conseguente morte di Manfredi, nel beneventano, Lanciano perdette i suoi privilegi e feudi, riconquistati poi nel 1303 da Carlo II D’Angiò.
Sempre nel 1303 Filippo di Fiandre Conte di Teate, sposando Matilde di Cortinaco, ultima rampolla di una nobile famiglia francese, diventò tra le altre cose signore di Lanciano; purtroppo la sua superbia e tirannia, oltre che al evasione fiscale, in quanto si rifiutò di pagare il servizio feudale al re, lo portarono alla revoca di tutti i privilegi del suo rango, ma il nobile non se ne avvide e così conti-nuò a godersi la vita di corte presso il Castello di Sette. I lancianesi, esasperati da questo stato di cose assaltarono, con l’aiuto delle truppe regie, il castello metten-done in fuga il conte e la sua famiglia.
Il triste declino
I secoli successivi furono per l’Abruzzo, come d’altronde, tutto il meridio-ne, bui e tristi poiché essa diventò terreno di scontro per le lotte di conquista tra francesi e spagnoli e forse per questo motivo che i feudi iniziarono spopolarsi.
Siamo agli albori del 1400 quando i lancianesi chiedono ai sovrani napoletani di poter fermare la fuoriuscita di persone che stavano spopolando quelle terre con un adeguato restauro di “Sette”, ma la mancanza di fondi, carestie e pestilen-ze, portarono in breve tempo a un massiccio esodo e al deterioramento del Castello.
Per questi feudi, Lanciano, doveva corrispondere una determinata somma che, in seguito a calamità naturali, guerre e altri sciagure del caso, fecero si che essa si disfacesse di questi possedimenti, che tornarono al demanio regio.
Dal 1700 al 1900 “ Sette” fu posseduto dai Conti Genuino, fino quando le due guerre mondiali, in special modo nel 1943 durante la battaglia del Sangro, lo danneggiarono pesantemente.
Le continue distruzioni, l’usura del tempo, l’incuria degli uomini, fecero si che del glorioso passato del castello dei Sette rimanessero poche tracce, finché un accurato e minuzioso ha restituito questo gioiello ai suoi antichi splendori.