I grandi Santi che hanno fatto la storia: Il giullare di Dio, san Francesco d’Assisi

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Gli eventi fondamentali della vita del Santo e la rivoluzionaria spiritualità francescana

di Fabio Mancini

“Fui mercante, uomo di mondo e peccatore: poco studiai e poco lessi se non i libri mastri del fondaco, e canzoni e ballate ed altre vanità” iniziava così la descrizione che San Francesco d’Assisi da di sé a Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine domenicano, quando i due si incontrano sull’Aventino nel 1220. E Francesco avrebbe sicuramente continuato a vivere secondo i privilegi del suo lo status sociale, se Dio non gli avesse dichiarato un progetto diverso rispetto alle sue ambizioni e alla brama di fantasiose conquiste cavalleresche.
All’età di 21 anni (nell’anno 1202) Francesco Bernardone si arruola nelle truppe di Assisi per combattere contro la milizia della città di Perugia, ma viene fatto prigioniero e dopo un anno, riscattato. Tre anni dopo si arruola tra le fila dei cavalieri di Gualtieri di Brenne che difendeva in Puglia i diritti della Chiesa contro Marcovaldo, il quale voleva togliere al Pontefice la tutela di Federico imperatore. Francesco acquista le migliori armi ed armature e parte alla volta dell’avventura. La prima notte del viaggio, Francesco fa un sogno strano: una voce che lo chiama per nome, lo conduce in un magnifico palazzo, e gli mostra ogni stanza; ciascuna piena di scudi, trofei, selle, armature, lance e stendardi. E oltre a ciò gli appare una bellissima sposa! Francesco vorrebbe ogni cosa per sé, ma ad un tratto la voce lancia una promessa: “ Ogni arma apparterrà a te ed ai tuoi cavalieri”.
Francesco non sta più nella pelle, egli pensa che presto sarà un grande condottiero; la gloria a lungo e tanto sognata è alla sua portata: tutto è già scritto nel destino. Deve solo raggiungere la Puglia, il resto verrà di seguito. Giunto nei pressi di Spoleto, Francesco avverte un forte malore, si ferma e nel dormiveglia della febbre la voce misteriosa lo chiama: “Francesco, chi ti può far di meglio il padrone o il servitore? E lui: “Il padrone”. “Perché dunque cerchi il servo in luogo del padrone?” “Che vuoi ch’io faccia, Signore?” “Ritorna ad Assisi, perché il tuo sogno riceverà per mano mia uno spirituale compimento”. E Francesco rinuncia al progetto appena intrapreso per ritornare ad Assisi senza comprendere nulla, senza sapere il perché dei cavalieri, delle armi, della sposa bellissima, si fida della voce udita nel sogno.
Mette così da parte armi e stendardi e dopo pochi mesi di permanenza decide di andare in pellegrinaggio a Roma presso il santo sepolcro dell’apostolo Pietro. L’innato impulso a donare ogni cosa di sé spinge Francesco a spogliarsi dei suoi abiti per rivestirsi con gli stracci di un mendicante che stazionava nel vestibolo della basilica. Ma a Francesco ciò non basta! Vuole farsi del tutto simile alla condizione dei più bisognosi e condivide con loro lo stesso cibo. Ancora una volta sente la voce che lo istruisce: “Impara a preferire le cose amare alle dolci e a disprezzare te stesso, se vuoi conoscermi; poiché le parti si muteranno e ti piacerà ciò che ti comando”.
Il ritorno al luogo natio è contrassegnato dall’impegno di Francesco in un lebbrosario, dove lava e fascia le piaghe dei malati. Quella disistima a cui quella voce lo esorta, se da una parte umilia Francesco e gli toglie una parte della sua libertà, dall’altra parte lo libera dalla dipendenza del lavoro e dalla logica del guadagno, (tutti ne siano assoggettati) lo scioglie dal vincolo legato al ruolo sociale (obblighi che spesso tendono all’omologazione purché sia salvaguardata la pace sociale ed il riconoscimento dell’ordine gerarchico, ma che tanto tolgono alla libertà della coscienza!) e ne ridisegna l’identità umana e spirituale.
Un episodio significativo mette a nudo quanto Francesco si sia svuotato del proprio io per colmarsi della nuova forza che pian piano andava ad ispirarlo e a prenderne possesso. Si era appena spogliato delle sue ricchezze e mentre stava attraversando la macchia, dei briganti lo assalgono ma alla vista di quell’uomo vestito di stracci gli chiedono: “Chi sei?” E lui: “Io? Io sono l’araldo (l’ambasciatore) del gran Re! E poi aggiunge: “E a voi cosa importa?” In breve quei briganti gli saltano addosso ed a forza di pugni lo gettano in una fossa. La risposta di Francesco può sembrare bizzarra, eccentrica, ma esaminata sotto un’altra luce lo diventa meno e suscita meraviglia, fascino, suggestione.
Ciononostante l’estrosità caratteriale di Francesco è innegabile, ad esempio, una volta si cuce un vestito per metà con stoffa pregiata e per l’altra con stoffa scadente e messer Pietro Bernardone ne ride, talmente elevato è l’orgoglio che egli ripone nei riguardi del suo erede. Tuttavia tale considerazione cambia di colpo quando il “re dei banchetti” (come veniva chiamato dagli amici) inizia a vivere con il vecchio prete nella chiesetta di San Damiano. Di fronte al comportamento di Francesco, il mercante si arma di randello e in compagnia di parenti e di amici va alla sua ricerca del figlio per riportarlo alla ragione. Ma di Francesco in Assisi non c’era traccia!
Egli per trovare silenzio e conforto si è rifugiato dentro una grotta, in se percepisce la sensazione che è giunto il momento del distacco dal mondo e dalla famiglia e intuisce come prossimo il conflitto con il padre. La parola di Dio lo interroga, lo provoca: “Chi ama il padre e la madre più di Me, non è degno di Me” e poi: “Se vuoi essere perfetto vai e vendi tutto quello che possiedi e donalo ai poveri, così avrai un tesoro in cielo”. Dopo un mese di isolamento e di stenti, Francesco si sente pronto per affrontare il mondo, esce dal suo rifugio totalmente trasformato: scalzo, emaciato, polveroso e con lo sguardo stanco ed i capelli e la barba trascurati, sembra un alienato, ma nella realtà è un vincitore.
Giunto ad Assisi le burle dei concittadini sono tutte rivolte a lui: “Venite a vedere messer Francesco uscito di cervello!” “Arriva lo scimunito! Ma non era quello che voleva andare in Puglia a conquistare un feudo!”. E poi addosso pietre, mele marce, fango. I fischi, le urla e le risate raggiungono Pietro Bernardone intento a lavorare e quando si accorge che la ragione dello schiamazzo è il figlio, esce dalla bottega, raggiunge Francesco e a suon di pugni lo rinchiude nel sottoscala, usato come deposito per il carbone. Francesco passa la sua prigionia a pane ed acqua, stando seduto oppure piegato sulle ginocchia a causa del soffitto basso. La madre, madonna Pica, ne soffre, ella non condivide quei comportamenti e approfittando dell’assenza del marito, libera Francesco permettendogli di prendere del denaro.
Al ritorno dal viaggio di lavoro, messer Pietro decide di diseredare il figlio e tenta la soluzione legale per ottenere la restituzione del denaro, rivolgendosi ai consoli della città. Francesco risponde che egli si è consacrato alla vita religiosa e quindi la competenza giuridica appartiene alla Chiesa. Il padre lo querela al vescovo di Assisi. E una mattina di aprile del 1207 presso la sala delle udienze del vescovado gremita di Assisani, padre e figlio sono di fronte; l’uno contro l’altro, il primo che reclama la restituzione del denaro, mentre il secondo è costretto a difendersi.
Alla richiesta del padre formulata dal vescovo, Francesco risponde: “Monsignore, non solo il denaro è cosa sua, ma anche il vestito che mi ha dato gli voglio allegramente restituire!”. Poi velocemente guadagna l’ingresso di una stanza attigua per rientrare subito dopo nudo, coperto solo di un cilizio, depone a terra i suoi abiti sulla cui sommità lascia cadere una manciata di monete, infine con il tono del banditore, proclama: “Udite tutti, udite ed intendete! Fino ad ora ho chiamato Pietro Bernardone mio padre, ma siccome ho fatto proposito di servire Dio, gli rendo il denaro per il quale era turbato e tutti i vestiti che ebbi da lui, così da qui innanzi potrò dire con pieno diritto: Padre nostro che sei nei cieli; e non padre Pietro Bernardone”.
Tra i due contendenti così si crea uno strappo netto e irreversibile. In questo caso il padre naturale non viene ripudiato, viene semplicemente detronizzato e su quel trono viene messo il Padre celeste. Messer Pietro non comprende la scelta del figlio, la sente come un’offesa personale. E da quel giorno in poi, il mercante maledice la vita di Francesco. D’altronde chi poteva sapere che il comportamento di Francesco fosse ancora orientato da quella voce? Infatti, poco tempo prima, Francesco raccolto in preghiera davanti al crocifisso di San Damiano aveva chiesto: “Che volete da me, Signore? E quella voce: “Francesco, non vedi che la mia casa cade? Va dunque a ripararla”.
E Francesco senza tergiversare si mette all’opera raggranellando qua e là tutto il denaro che poteva. Una volta prende tre braccia di panno scarlatto dal magazzino e al mercato di Foligno vende la merce e il cavallo, ricavato doveva servire per comprare calcina, attrezzi e pietre. E Francesco mura tutto il giorno per riparare San Damiano, mangiando di quello che il vecchio prete riesce a procurarsi. La cosa va avanti per un poco, poi Francesco deciso ad umiliarsi di più, va ad elemosinare il cibo casa per casa. Terminato alla buona il lavoro a San Damiano, Francesco si adopera a restaurare una chiesa di campagna dedicata a San Pietro, poi un’altra dedicata alla Madonna: Santa Maria degli Angeli che era quasi del tutto abbandonata dai Benedettini e che la gente chiamava la Porziuncola per via di una porzione di terreno che la circondava.
La missione sembra terminata, cos’altro fare? Francesco inizia a predicare. Pur se nell’aspetto semplice e disadorno Francesco può somigliare ad un cataro (entrambi sono accomunati dalla scelta della povertà radicale, dal rifiuto della proprietà e dal disprezzo per la ricchezza) ma nel linguaggio e nel credo le differenze sono più marcate. Il linguaggio di Francesco si discosta da quella dei preti di quel tempo, in quanto il poverello di Assisi usa la lingua del popolo, il volgare, e non il latino, elemento di cui facevano sfoggio i sacerdoti e che pochi fedeli comprendevano. Spesso Francesco improvvisa, anzi la sua spontaneità era simpatica, genuina. Non di rado capita che Francesco dimentica le parole preparate e con disappunto spiega agli astanti: “Vi avevo preparato un bel discorso, ma l’ho dimenticato!” e quindi prosegue a braccio con la fantasia, la poesia e la passione di un giullare innamorato di Dio.
Ogni volta prima di iniziare l’evangelizzazione dice semplicemente: “Il Signore vi dia la pace!” e poi tante esortazioni alla mortificazione. Tommaso da Celano nella biografia sul Santo di Assisi, racconta che Francesco mentre sta predicando in una delle piazze di Alessandria, viene interrotto dall’urlo di un predicatore cataro il quale mostrando al pubblico un pezzo di cappone grida: “Ecco chi è questo Francesco che sta predicando e da voi è onorato come un santo: guardate la carne che ieri sera mi ha dato mentre mangiava”. E in effetti il cataro non aveva mentito, perché Francesco trovatosi a tavola la sera precedente come ospite aveva elargito una coscia di cappone a quello che sembrava un povero mendicante. Eppure quella che sembrava l’elemosina, nella realtà nasconde un pretesto per screditare un cristiano vero. Ciononostante Francesco non si pone come un “nemico” dei catari, né sostiene dottrine contrarie all’ortodossia della Chiesa.
Il suo amore verso le cose create è puro, armonioso e totalizzante, quale colpa poteva avere un corpo se il peccato è nel cuore dell’uomo? Perché considerare immondo un cibo se serve per il nutrimento dell’uomo? Così mentre il catarismo impone il divieto di sopprimere qualsiasi animale e di mangiarne le carni, Francesco consuma ogni cosa che gli veniva offerta per rispetto di colui che lo aveva invitato. Per il poverello di Assisi le vere colpe sono la voracità, l’ozio e la calunnia. Davanti ad un piatto cotto, pur di ridurne il piacere della gola, Francesco lo rendeva insipido con l’acqua fredda, oppure lo cosparge di cenere, il cibo secondo lui deve soltanto mantenerlo in vita. Di fronte a tanta forza, radicalità e coerenza tanti vogliono seguire l’esempio di Francesco.
I primi ad aderire sono Bernardo da Quintavalle e Pietro Cattani che spogliatosi di ogni bene e privilegio danno vita al primo nucleo del francescanesimo, al quale successivamente si uniscono altri nove seguaci per un totale di dodici. La piccola comunità vive in una capanna vicina alla Porziuncola pregando e predicando, ma non si tirano indietro se capita loro qualche lavoro che sanno svolgere pur di non essere di peso ad alcuno e di stare nell’ozio. I lavori che accettano devono essere compiuti con spirito di umiltà e generosità e come contraccambio ricevono solo il necessario per il proprio sostentamento. Con questi precetti, Francesco evita che i suoi seguaci amino troppo il lavoro e trascurino la preghiera. Durante la predicazione le avventure non mancano: la gente prende i seguaci di Francesco per dei pazzi, chiede chi sono e a quale ordine appartengono. Spesso diventano le vittime di offese e di scherzi. Molte volte vengono denudati, senza ricevere indietro gli indumenti sottratti.
Francesco intuisce che la comunità ha bisogno di una “Regola” così nel 1210 i dodici si recano a Roma per sottoporre al Pontefice l’intenzione di voler costituire un nuovo ordine religioso basata sulla povertà. Davanti a Francesco, Innocenzo III che non apprezzava la miseria, assume un comportamento sospettoso, egli teme che Francesco è un valdese. E senza fare alcuna promessa, invita Francesco a pregare e a ritornare da lui, il giorno che li avrebbe chiamati. La maggior parte dei cardinali non vuole un ordine fondato sulla povertà estrema, ma l’intervento deciso del cardinale Giovanni Colonna convince l’assemblea che la richiesta presentata da Francesco è coerente con l’insegnamento evangelico.
Innocenzo III richiama i dodici e dopo aver approvato la Regola fa impartire a ciascuno la tonsura ecclesiastica: inizia il francescanesimo. I principi della regola fondati sulla povertà, la purezza, la preghiera alternata al lavoro, l’apostolato e la letizia portano una ventata di ossigeno nella Chiesa e sottraggono il fianco alle critiche dei movimenti eretici. Il francescanesimo originario si oppone anche al sapere, perché viene ritenuto una ricchezza non visibile che accresce la vanità e la superbia e che tende a creare una discriminazione. Secondo Francesco la vera sapienza non proviene dai libri, ma dalla fede, dall’umiltà e dalle opere. Intanto la popolarità di Francesco cresceva, egli cominciava ad essere considerato un Maestro spirituale sotto il quale ricevere una guida.
Ad Assisi viveva Chiara Offreduccio che era rimasta affascinata dal messaggio e dalla personalità di Francesco. Tra i due inizia una serie di incontri segreti attraverso i quali Francesco la istruisce e tenta di rafforzare la vocazione della giovane donna. Così il 28 marzo del 1211 Chiara fugge dalla casa paterna e si rifugia presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli dove Francesco le taglia i capelli come atto di consacrazione. L’esempio di Chiara viene seguito dalla sorella, Caterina che poi prende il nome di Agnese. Esse diventano il riferimento per altre giovani donne per quello che Francesco chiama le “Dame povere” e che solo successivamente si trasformerà nell’ordine delle clarisse.
Nella sua azione di apostolato, Francesco incontra molte persone che non essendo consacrate desiderano vivere l’ideale francescano. Per queste Francesco istituisce l’ordine Terziario, al quale aderiscono i due coniugi Lucchesio e Buonadonna, frate Jacopa ed il conte Orlando. Coloro che aderiscono si impegnano a vivere cristianamente compiendo opere di carità, si impegnano a ristabilire la pace con i nemici, a restituire le ricchezze disonestamente accumulate, a donare la decima alla Chiesa, a non portare armi e a non accettare onori pubblici, secondo il principio del distacco del cuore dai beni terreni. Tuttavia Francesco custodisce un sogno: andare in missione in Terra Santa, dove trovare il martirio.
Così nel 1212 si reca a Roma per chiedere ad Innocenzo III il permesso di raggiungere la patria di Gesù. Il permesso viene accordato e ad ottobre si imbarca per la Siria, ma la nave si incaglia sulle coste della Schiavonia. Un secondo tentativo viene compiuto nel giugno del 1213, la meta è il Marocco ma Francesco subisce un malore e nuovamente è costretto a rinunciare. L’occasione propizia capita nel 1219, quando in compagnia di dodici volenterosi Francesco raggiunge San Giovanni d’Acri, capitale del regno latino in Siria. Francesco accompagnato da frate Illuminato da Rieti (Accarino della Rocca) vanno a Damiata in Egitto, punto nevralgico della lotta tra cristiani e musulmani.
L’esercito musulmano è guidato da due capi coraggiosi: Melek-el-Kamel sultano d’Egitto e suo fratello Melek-el-Moammed sultano di Damasco. Una volta raggiunte le truppe cristiane, Francesco si rende conto che i primi ad essere evangelizzati devono essere coloro che combattono sotto il segno della croce. Ispirato da Dio, Francesco allerta i crociati a non attaccare, perché altrimenti sarebbero stati sconfitti. Il monito non viene ascoltato e il 19 agosto seimila cavalieri perdono la vita. Intanto Francesco e frate Illuminato raggiungono l’accampamento saraceno e vengono catturati, legati e picchiati.
Ma Francesco che ha l’intenzione di convertire il sultano comincia a chiamare: “Soldano, Soldano!”. I soldati saraceni intuiscono che Francesco è un uomo venuto in pace e conducono i due frati alla tenda di Melek-el-Kamel, il quale chiede se vogliono farsi adoratori di Allah. Francesco comunica la sua missione: voler annunziare il Vangelo a lui ed al suo popolo. Soldano resta affascinato, chiede che Francesco resti, ma il frate si dichiara disponibile a patto che il sultano ed il suo popolo abbraccino la fede in Cristo. Poi, dice che se il sultano farà accendere un grande fuoco, vedrebbe chi ne uscirebbe vivo, se lui o i sacerdoti di Maometto. Ma Soldano prudentemente respinge la richiesta. Allora Francesco lancia l’ennesima proposta: se egli attraverserà incolume tra le fiamme, il sultano dovrà riconoscere che Cristo è il vero Dio. Soldano sempre più meravigliato, offre a Francesco doni, onori e piaceri, ma Francesco rifiuta ogni cosa. Il sultano interroga sul da farsi i suoi dignitari i quali sostengono che i due frati meritano la decapitazione, poiché predicano contro Maometto. Melek invece li lascia in vita e gli rilascia un lasciapassare perché possano muoversi all’interno del territorio saraceno.
Francesco e frate Illuminato da Rieti visitano come pellegrini i luoghi Santi, ma da Assisi arrivano altre preoccupazioni; alcuni frati hanno tradito l’originaria povertà ed accettato di vivere in costruzioni in pietra e calcina, decisamente troppo per dei poveri francescani! Al suo rientro ad Assisi nel 1220, Francesco decide di abdicare e di lasciare il suo posto a Pietro Cattani. Sulla decisione pesano le incomprensioni con i confratelli e soprattutto l’incapacità di Francesco ad ammonire quei frati che non rispettavano la regola alla lettera. Infatti, più che riprendere le colpe degli altri, Francesco istruisce attraverso il buon esempio. L’uomo che predica agli uccelli e che ottiene il silenzio delle rondini, che ammansisce il lupo di Gubbio e che converte i briganti, che guarisce le malattie, che libera i posseduti dagli spiriti immondi e che sconfigge ogni tentazione, si arrende alla volontà contraria dei confratelli con l’Amore di cui solo Francesco è capace.
Conosciamo il dominio che Francesco esercitava sugli animali; una volta per esempio, egli si trovava nei pressi di Bevagna e vide una gran numero di uccelli e mentre si avvicinava notò che gli animali non fuggivano, anzi lo aspettano, allora il poverello d’Assisi improvvisò una predica: “Fratelli miei alati, dovete lodare molto il vostro Creatore ed amarlo sempre, perché vi diede le piume per vestirvi, le penne per volare e tutto ciò che occorre al vostro bisogno. Dio vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di dimorare nella limpidezza dell’aria; voi non seminate e non mietete, eppure Egli stesso vi protegge e governa senza alcuna vostra sollecitudine”. Poi, li benedisse.
Il racconto del lupo di Gubbio che divorava animali ed uomini e che a Francesco promette di non uccidere più dietro l’assicurazione che gli abitanti ogni giorno gli portino il cibo necessario, sembra un racconto metaforico legato ad una storia realmente accaduta. Una volta presso il convento francescano di Monte Casale tre briganti bussano alla porta chiedendo da mangiare, ma vengono cacciati dal guardiano, Angelo Tarlati. Saputolo, Francesco lo rimprovera, e gli affida una bisaccia con del pane e un vasetto di vino che deve consegnare una volta raggiunti i briganti. Poi, alla consegna dei viveri, il frate custode secondo il comando di Francesco, deve chiedere perdono ai briganti e pregarli che non compiano altro male ed in compenso essi riceveranno gratuitamente cibo e bevande.
Anche qui come per il lupo di Gubbio la storia ha un lieto fine: davanti a tanta bontà i tre briganti chiedono di farsi francescani e Francesco li accetta ben volentieri. Tuttavia Francesco è pur sempre un uomo e come tutti viene tentato. Una notte mentre soggiornava nell’eremo di Sarteano, un pensiero lo seduce: “Fai in tempo ad avere una casa, un camino acceso, una donna dolce, dei bambini, se tu lo vuoi. Sei ancora giovane!” E nel mentre Francesco ne vede persino le immagini. Allora si getta in ginocchio e tolto l’abito con la corda comincia a battersi e poi dice: “Frate asino, la tonaca è dell’ordine, l’anima è di Dio. Non puoi tornare indietro”. E quella voce: “Si può appartenere a Dio, senza far codeste pazzie. Un buon padre di famiglia vale più di te!” Francesco scende nell’orto e mezzo nudo inizia a fare dei pupazzi di neve, fattone sette comincia ad immaginare la sua famiglia di neve: la moglie, i figli, la servitù. E poi … i loro bisogni, i pesi da sostenere e se questa non poteva sembrargli la sua vita, allora mille volte meglio continuare a servire Dio con la leggerezza di sempre. Così con la fantasia di cui non difettava, Francesco riesce a superare la tentazione e a disorientare il tentatore.
Ma le tentazioni passano anche attraverso l’uomo. Al termine di una predicazione, una volta Francesco riceve lo schietto commento di un vescovo il quale gli dice: “Ringraziamo Dio che si è servito di questo pover’uomo ignorante e ripugnante, per illustrare la Chiesa rivelandoci la sua misericordia”. Francesco ne resta contentissimo e ai suoi piedi lo ringrazia per aver saputo distinguere ciò che era suo da ciò che era di Dio. Un’altra volta presso il lebbrosario dove i francescani prestavano la loro opera c’era un malato talmente esasperato dal male che maltrattava e picchiava gli infermieri, bestemmiando senza tregua. I frati volevano abbandonarlo, ma Francesco volle prendersene cura. Francesco lo saluta così: “Iddio ti dia la pace, fratello mio carissimo”. L’altro: “Che pace posso avere io, se Dio mi ha ridotto fradicio marcio?” “Pazienza, figliolo, le malattie del corpo sono la salute dell’anima quando si sopportano con pazienza”. “Pazienza, pazienza! A chi consiglia non duole il capo. Come posso io sostenere la pena che mi affligge giorno e notte? Non solo sono tormentato dalla malattia, ma peggio mi fanno i tuoi frati che non mi servono come devono”. “Figliolo, ti voglio servire io, poiché gli altri non ti sanno accontentare”. “Va bene, ma che mi potrai fare tu più degli altri?” “Ciò che tu vorrai, io ti farò”. “Allora voglio che tu mi lavi tutto quanto, perché io puzzo così forte che non mi posso sopportare ”. Subito Francesco fa scaldare l’acqua con erbe odorose, spoglia il malato e inizia a lavarlo delicatamente e mentre le mani di Francesco scivolano su quel corpo afflitto, inizia a pregare perché il Signore lo guarisca nel corpo e nell’anima. Ed il prodigio avviene, non solo per l’opera di intercessione di Francesco, ma perché prima dell’intervento straordinario avviene il miracolo dell’Amore.
La missione in Egitto marchia Francesco con una rara e inguaribile malattia agli occhi che egli deve tentare di curare con i scarsi mezzi a disposizione. Un famoso medico di Rieti con un ferro arroventato gli incide le vene dall’orecchio al sopracciglio dell’occhio malato. E poco prima dell’operazione Francesco ha parole per fratello fuoco perché esso sia buono con lui. E mentre i confratelli fuggono dallo spavento, Francesco annuncia che fratello fuoco non gli ha fatto alcun male. Tuttavia la vista di Francesco non guarisce e ad essa si aggiungono altri mali: al fegato, alla milza, allo stomaco che spesso provocavano dei violenti rovesci di sangue. Nel desiderio di rievocare qualche scena della vita di Gesù, Francesco assieme a Giovanni Vellita progetta nel Natale del 1223 a Greccio il primo presepio. In una grotta nei boschi intorno all’eremo vi trovano posto il bue e l’asinello, la mangiatoia con la paglia e una grande pietra che fa da altare e frate Francesco che celebra la messa.
Nell’agosto del 1224 Francesco decide di trascorrere il giorno dell’Assunta e la quaresima di San Michele Arcangelo presso il monte Verna. Ad accompagnare Francesco ci sono frate Masseo, frate Angelo e frate Leone. Lontano da ogni cosa del mondo Francesco prega e digiuna e presagendo qualcosa si raccomanda a frate Leone di prendersi cura di lui, perché da lì a pochi giorni Dio farà delle meraviglie. Il 14 settembre Francesco ha la visione di un Serafino che lo trafigge ai piedi, alle mani ed al costato e gli dice di avergli donato le stigmate, affinché egli sia il suo portabandiera. Il 3 ottobre del 1226 muore ad Assisi il più grande Santo della Chiesa.