Grande successo per Otriculum AD 168: come si viveva al tempo dei romani

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Il grande parco archeologico umbro di Otriculum prende vita. Una storia nella storia che rispetta i beni archeologici e anche l’ambiente.

Di Alessandro Moriccioni

legione Esiste una strada che conduce direttamente nel passato. Una via che porta dritta nella storia dove il tempo è congelato e dove l’antico detto “tempus fugit” non ha alcun valore. E’ l’antica Via Flaminia, che sfuggendo al tracciato odierno, s’insinua nella città di Otriculum, oggi splendido parco archeologico, e spalanca i cancelli dell’archeologia sperimentale. Intendo dire quell’archeologia che è fatta di persone desiderose di comprendere e “sperimentare” come si viveva nell’antichità. Questo è ciò che aspetta chi visita Otriculum (vedi nota1), l’Otricoli romana, nel periodo in cui viene inscenata Otriculum AD 168. Oltre duecento figuranti s’impegnano a far rivivere con la massima accuratezza possibile, l’antica città romana, oggi separata dal centro abitato moderno che ha, invece, origini medievali. Entrare in uno dei siti archeologici più importanti d’Italia, immerso nella sua atmosfera “originale”, è come svegliarsi nel bel mezzo di un sogno dopo aver viaggiato con la macchina del tempo descritta da Wells. Superata una finta porta con tanto di arco, cambiamo i soldi, perché giustamente ad Otriculum si batte moneta, per acquistare un ricordo in terracotta, un amuleto in bronzo oppure qualche vivanda alle taberne. Un sesterzio è uguale a sei assi in bronzo e siamo definitivamente catapultati nel fermo immagine della storia. Nel frattempo, la legione monta il suo campo e parte in marcia serrata per scortare le vestali e tenere sotto controllo l’odine pubblico. Sfioriamo il cimitero con i suoi diversi tipi di tombe, reliquie esse stesse come i corpi che contenevano un tempo. Poi la Flaminia svolta improvvisamente come la pagina di un libro che viene sfogliata per passare alla successiva e si entra nella città vera e propria. Visitiamo il ninfeo, ove Gladiatorieteree ragazze, adornate da corone fiorite, danzano divertendo i tanti visitatori. Attraversiamo le rovine delle terme, un tempo divise in tre ambienti distinti; il calidarium, il tepidarium ed il frigidarium. Un tempo questo luogo era una sorta di centro benessere. I romani si lavavano il pomeriggio anziché la mattina, come siamo soliti fare noi, ma almeno lo facevano. I grandi ambienti erano riscaldati da un complesso sotterraneo dove i lavoranti, generalmente schiavi, sudavano più di chi frequentava le terme e di sicuro non facevano una bella vita.  Senza quasi rendercene conto, siamo al grande teatro. A differenza di aurighi e gladiatori, molto amati dal pubblico e dagli imperatori, gli attori non godevano di grande considerazione nella società romana. La loro arte era semplice intrattenimento pubblico. Ma la struttura architettonica rimasta ha reso gloria imperitura a questi artisti, anche se post mortem. Saliamo la scalinata delle sostruzioni, costituite da ben dodici ambienti disposti su due piani, ed esploriamo l’interno che con molti sforzi si sta cercando di consolidare. Questa struttura contiene il terreno retrostante e doveva fare da sostegno a qualche genere di edificio di uso pubblico. Guardiamo di sotto ed il carro trainato dai  buoi gira per l’immensa area per la gioia dei bambini, mentre i maialini dormono dopo un lauto pasto consumato nel piccolo porcile. I venditori offrono la loro merce sui banchi perfettamente ricostruiti e gli arcieri si allenano scoccando frecce all’infinito. Superiamo nuovamente il teatro, discendiamo sino al famoso porto fluviale, detto Porto dell’Olio, e qui una barca a remi attracca dopo aver risalito il fiume, esattamente come accadeva quasi duemila anni fa. I morsi della fame si fanno sentire ed acquistiamo, per poco più di un sesterzio, il nostro pranzo fatto di prodotti tipici dell’epoca. Lo consumiamo con golosità sotto il tetto di paglia della taberna che ci protegge dal sole cocente e pensiamo. Pensiamo che non abbiamo mai visto un parco archeologico tanto vivo e ben curato A quanto ne sappiamo i volontari lo hanno più volte ripulito e continuano a farlo ciclicamente. Niente cartacce, né oggetti abbandonati nella speranza che si biodegradino in qualche milione di anni e siamo felici. Felici di vedere che le rovine sono ciò che sono: resti di un passato storico e non di una discarica. Sereni, poi, nel constatare che molte voci non proprio lusinghiere su questo luogo sono voci di corridoio e nient’altro. Giungiamo presso l’anfiteatro e osserviamo le tecniche di combattimento che gli storici e i figuranti presumono adottassero i gladiatori. Ci fermiamo a parlare con quei ragazzi che ci spiegano il funzionamento delle armi e i diversi tipi di elmi. Ci raccontano i ruoli che un gladiatore poteva impersonare nell’arena e scopriamo diverse curiosità che un giorno, magari, vi racconteremo. Si è fatto tardi, il tempo è fermo ma il sole completa ugualmente il suo ciclo tra cerimonie e rievocazioni. Prima di tornare sulla Via Flaminia osserviamo per l’ultima volta, questo luogo fantastico, per un paio di giorni sospeso nel tempo, che fu strategico già dal 308 a.C. per la sua funzione di confine “naturale” tra l’Umbria e la Sabina. Cerchiamo di immaginare il centro abitato con tutte le sue strutture a posto e nella loro interezza, e come per incanto prende vita, davanti ai nostri occhi, uno scenario da film, una città ancor più viva. I figuranti divengono abitanti e non più attori. buoiL’esperimento di questa nuova archeologia della vita quotidiana è completo. Otriculum esiste ancora. Ci informano che esiste anche un museo che, tuttavia, non riusciamo a visitare: l’Antiquarium di Casale San Fulgenzio. Ci ripromettiamo di farlo in altra occasione. Per fortuna, molti dei rinvenimenti, gli splendidi mosaici, le plastiche sculture e le iscrizioni, li avevamo ammirati nelle sale dei Musei Vaticani, dove sono tuttora esposti. Mentre ci incamminiamo sulla Flaminia per uscire dall’antica città, ci ritroviamo a giocare con le ultime monete rimaste con la sensazione di portare nella nostra epoca un pezzo tangibile del passato che abbiamo avuto la meraviglia di visitare. La nostra macchina del tempo è tornata nel 2014 ma ogni anno, almeno per una volta, chiunque può tornare indietro, a quel 168 AD, all’Otricoli romana e rendersi conto che il tempo fugge, è vero. Ma non qui. Non ad Otriculum.

Nota 1: per dovere di cronaca va segnalato che il termine giusto per designare l’antica città di Otricoli è Ocriculum, forse dal greco Ocris (monte). Otriculum o Otricoli è attestato in epoche più recenti.

Nota 2: le prime due foto inserite in questo articolo, raffiguranti legionari e gladiatori, sono copyright esclusivo del fotografo Alessandro Marsili. Nelle restanti, l’autore con l’elmo  di un sannita e carro trainato dai buoi, foto di Alessandro Moriccioni.