Gli otto angoli del cielo. Origine, significato e storia degli enigmatici simboli artistici e architettonici ad otto elementi

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di Ignazio Burgio

I simboli che richiamano il numero otto, come la rosa ad otto petali, sono stati diffusamente utilizzati nell’arte e nell’architettura antica e medievale. In quest’articolo si suggerisce come la loro origine debba ricercarsi in un complesso di conoscenze archeo-astronomiche in possesso sia delle antiche civiltà megalitiche, sia delle civiltà mediorientali (egiziana e babilonese). Ad esse vanno collegati oltre che esemplari di meridiane portatili dell’età antica, anche simboli tipici dell’età medievale, come la “triplice cinta”, la spirale ed il labirinto, presenti soprattutto in moltissime chiese ed abbazie di ogni parte d’Italia.

Bassorilievo babilonese
Bassorilievo babilonese

Quando nel 1782 nella Cattedrale di Palermo venne aperto il sarcofago di porfido rosa contenente il corpo di Federico II di Svevia a scopo di studio e ispezione, si scoprì che lo “Stupor Mundi” era stato sepolto non con un saio da cistercense, come riportato dalle cronache del suo tempo, bensì con tre tuniche sulle quali erano ricamati arabeschi e simboli esoterici. Uno di questi era costituito dal fiore ad otto petali, una figura alla quale l’imperatore svevo sembra fosse particolarmente legato, tanto che la sua salma recava ancora al dito un anello la cui forma era anch’essa quello di un fiore ad otto petali. La simbologia del numero otto, d’altra parte, come è abbastanza noto, ritorna anche nel suo monumento più famoso, Castel del Monte, in Puglia, nel quale l’orientamento degli otto lati e delle otto torri incontra non solo precise corrispondenze astronomiche nel corso delle diverse fasi solari, ma anche perfetti allineamenti geografici con i più importanti centri europei e mediterranei dell’epoca (in primo luogo con Costantinopoli e Gerusalemme, di cui Federico era formalmente anche sovrano). L’imponente castello ottagonale del sovrano svevo in un certo senso sembra avere (oltre che quello di una corona imperiale) anche il disegno di una rosa ad otto petali come il simbolo a lui così caro.
Questa figura floreale è tuttavia ben più antica dell’età federiciana, e della stessa epoca medievale. Raffigurazioni di rose ad otto petali si ritrovano ad esempio in gioielli reali in oro dell’età antica, ma esse appaiono anche in steli funerarie del periodo romano, con un significato che sembra essere ben diverso da quello di semplice ornamento.
Se poi si osservano i bassorilievi mesopotamici del periodo babilonese (II millennio a. C.), come quelli esposti al Museo Pergamon di Berlino, si avrà la sorpresa di scoprire figure di divinità alate con al polso un fiore ad otto petali legato ad un cinturino, proprio come un moderno orologio ! In queste raffigurazioni molti potrebbero scorgervi appunto degli anacronistici oggetti tecnologici “fuori contesto” (oopart) appartenenti a creature di altri pianeti in visita alle antiche civiltà. Fonti antiche come la “Babiloniakà” del sacerdote caldeo Berosso, e le stesse antiche cronache sumere e babilonesi scritte sulle tavolette d’argilla, parlano del resto di curiosi esseri anfibi, gli “apkallu” (saggi) Oannes, Annedotos, Odakon, ed altri, dall’aspetto tutt’altro che umano, che in tempi remoti avrebbero insegnato a quegli antichi mesopotamici le nozioni base della civiltà: l’agricoltura, il calendario, l’architettura, e via dicendo. Anche le divinità maggiori – o “Annunaki” – del pantheon Sumero-Babilonese, Enlil, Enki, Inanna, Sin, ecc. da studiosi come Zecharia Sitchin vengono considerati come esseri in carne ed ossa, dall’aspetto umano, ma provenienti da un altro pianeta. Preferendo tuttavia rimanere il più possibile “con i piedi in questo mondo”, vari indizi archeologici portano a considerare una interpretazione molto più “terrestre”, anche se inscindibilmente legata all’astronomia antica ed al ciclo solare dei solstizi e degli equinozi.

Meridiane portatili antiche
Meridiane portatili antiche

Negli ultimi anni sono stati rivalutati alcuni reperti appartenenti al IV sec. prima dell’era cristiana, ed in precedenza erroneamente interpretati e classificati. Si tratta di due dischi piuttosto spessi provenienti l’uno, in pietra, dalla famosa località israeliana di Qumran e l’altra, in terracotta, dal Monte Bibele, nei pressi di Bologna.  Ambedue presentano un foro centrale e alcune scanalature. Ma mentre quello mediorientale appare più semplice ed essenziale, poichè reca soltanto quattro scanalature circolari (segnate tuttavia da molte “tacche”), il disco degli appennini emiliani oltre a tre segmenti circolari riporta anche quattro segmenti ortogonali (una croce e due diagonali) che suddividono il disco in otto sezioni di 45 gradi ciascuno.
Da qualche anno gli archeologi sono del parere che la funzione di ambedue questi strumenti, meridiane o “cronografi”, ed in particolare di quello italiano, oltre che di “calendario portatile” fosse anche quella di un moderno GPS per il rilevamento delle coordinate geografiche. Ponendo infatti un’asticella di legno sul foro centrale, l’ombra proiettata sui diversi settori poteva consentire ad un esperto astronomo antico di ricavare preziose informazioni sia dal punto di vista del calendario (la data esatta di solstizi ed equinozi), sia sotto il punto di vista geografico, in quanto alle diverse latitudini l’ombra ricavata alla medesima ora (ad esempio a mezzogiorno) risulta più o meno lunga (massima al circolo polare, praticamente inesistente all’equatore) in rapporto all’angolazione della superficie terrestre nei confronti del sole. E’ evidente come tali strumenti si ricolleghino a tutta la precedente tradizione archeoastronomica dei popoli del Vecchio Continente, e certamente è significativo che l’esemplare italiano sia stato ritrovato in una località ricca di insediamenti archeologici appartenenti alla cultura celtica (Galli Boi). Al pari dei loro colleghi transalpini, anche i sacerdoti druidi dell’Italia Cisalpina certamente conservavano le tradizionali conoscenze astronomiche ereditate da un passato lontano e strettamente collegate ai monumenti megalitici disseminati nell’Europa Occidentale. Anzi sembra che tra i due, proprio il disco italiano avesse validità universale in ogni luogo, mentre quello di Qumran fosse inefficace come “sestante-gps” alle latitudini palestinesi, venendo così probabilmente utilizzato solo come orologio e calendario.
In un certo senso quindi il cronografo in terracotta del Monte Bibele può essere considerato una sorta di “Stonehenge tascabile”, valevole, per chi sapesse interpretarne i giochi di ombre, a determinare appunto con precisione le principali ricorrenze stagionali, come i solstizi e gli equinozi, oltre che la latitudine del luogo in cui ci si trovava. E questo ovviamente, non solo a fini agricoli, quanto piuttosto soprattutto per motivi legati alle ricorrenze religiose ed a particolari cerimonie, come la ricerca del periodo, del luogo, e dell’orientamento più propizi per la fondazione di città o templi.
Al pari dei templi megalitici più famosi, come Stonehenge o Avebury, anche il cronografo di Monte Bibele presenta dunque la suddivisione dello spazio terreno e celeste in otto parti: quattro, individuati dalla classica croce ortogonale, volti ad incontrare i corrispondenti punti cardinali orientati agli equinozi (con il sole esattamente ad est all’alba e ad ovest al tramonto) e a mezzogiorno (sole allo zenith); altri quattro intermedi, individuati da una croce diagonale (ad X) corrispondenti ai punti di alba e tramonto del sole ai solstizi d’estate e d’inverno. Questa suddivisione in otto parti dello spazio celeste e terreno (e conseguentemente anche delle ricorrenze festive dell’anno solare) può costituire la chiave per cercare di far luce su molti enigmi.
Il cronografo di Monte Bibele ed il suo gemello di Qumran non dovevano certamente essere gli unici esempi del loro genere nel mondo antico. Leonardo Melis ed altri, sostengono infatti – e probabilmente non a torto – che manufatti tradizionali sardi chiamati in dialetto pintaderas, anch’essi di forma circolare e dotati di foro centrale e suddivisione in otto parti, non siano semplici sigilli decorativi, secondo l’interpretazione classica, ma altri esempi di cronografi ancora più antichi, finalizzati a calcolare, con medesimo procedimento, le ricorrenze religiose pagane dell’antica civiltà nuragica in Sardegna. Parecchi di questi strumenti dovettero insomma diffondersi sin dalle epoche più remote nelle diverse regioni europee e mediterranee, recando con sè al contempo (o assimilando e contaminando) anche le convinzioni religiose legate ai cicli di morte e rinascita naturale. Caratteristiche, queste ultime, proprie dei culti solari connessi alle conoscenze archeoastronomiche praticamente di tutte le civiltà del Vecchio Continente (dal concetto di “rinascita” del sole in prossimità del 22 dicembre, solstizio d’inverno, a quello di “indebolimento” della luce dopo il solstizio d’estate, fino ai cupi e brevi giorni autunnali associati alla vecchiaia e alla morte – ancora ai giorni nostri -, specie alle latitudini settentrionali) .

Stele funeraria di epoca romana
Stele funeraria di epoca romana

Non doveva certamente essere un caso se nella più antica scrittura cuneiforme, quella proto-sumerica, il termine “cielo” fosse identificato da un ideogramma – simile al  nostro asterisco: * – costituito da otto raggi uniti al centro, e che tale simbolo avesse anche il significato di “stella”. Nell’antica iconografia artistica mesopotamica, il sole era rappresentato da un disco regolarmente suddiviso in otto raggi, e le divinità venivano spesso raffigurate accanto ad una stella ad otto punte. Anche la stilizzazione iconografica-simbolica del cielo suddiviso in otto parti, opportunamente trasformato dagli scultori in un artistico fiore ad otto petali, contraddistingueva nella Mesopotamia Babilonese, in primo luogo ovviamente le divinità, come il dio Marduk, raffigurato letteralmente rivestito di rose con otto petali.
Parimenti dunque, è altrettanto verosimile che il simbolo della rosa assumesse contemporaneamente anche un significato religioso di rinascita e sopravvivenza dopo la morte, non solo nelle culture mediorientali ma anche nelle posteriori civiltà, come quelle ellenistica e romana.
Ammesso tuttavia che sia vero che la rosa ad otto petali (o rosetta, come denominata dagli archeologi) risulti essere la raffigurazione artistica delle otto direzioni archeoastronomiche dell’antica civiltà megalitica, anche altri simboli, ancora oggi oggetto di interpretazione e discussione, potrebbero derivare dalla medesima radice, essendo anch’essi caratterizzati da otto elementi (linee rette e angoli) attorno ad un centro comune. Marisa Uberti e Giulio Coluzzi hanno censito e studiato all’incirca un centinaio di enigmatici simboli, simili all’antico gioco del tris o filetto, graffiti o scolpiti in ogni parte d’Italia, sia in zone rupestri, sia, soprattutto, in chiese e abbazie di epoca medievale (ed anche fuori dal nostro paese, come ad esempio in alcune cattedrali gotiche francesi e nelle prigioni del Castello di Chinon, dove vennero rinchiusi molti templari). Il loro meticoloso lavoro, confluito nel volume “I luoghi delle Triplici Cinte in Italia” (ed. Eremon), ha tuttavia portato ad escludere che la maggior parte di tali reperti abbia avuto finalità ludiche, in quanto si trovano in una posizione impossibile o quantomeno scomoda ai fini del gioco (ad es. in posizione verticale). La maggior parte di questi graffiti – dagli autori denominati Triplici Cinte – si presentano comunque effettivamente composti da tre quadrati o rettangoli concentrici, attraversati e uniti da una croce perpendicolare, che generalmente non invade il quadrato centrale, proprio come nel classico gioco sul retro delle moderne scacchiere. Il periodo a cui appartengono i graffiti di questo tipo è soprattutto quello medievale, sino al XIV secolo.
I due studiosi hanno tuttavia trovato diverse varianti stilistiche del simbolo in questione, alcune delle quali più semplici, composte solo da otto rette perpendicolari disposte attorno ad un quadrato centrale. Localizzate anche in zone rupestri e montane, al pari di alcuni esempi di Triplici Cinte quadrangolari più complesse, possono risalire anche al 500 a. C. e sono attribuite dagli studiosi alle culture celtiche pre-romane, come quella di La Tene. Altre ancora presentano una forma alquanto differente, caratterizzate non più dal quadrato ma dalla circonferenza, che racchiude tuttavia sempre otto raggi, come nella Chiesa di San Pietro delle Immagini, a Bulzi, in provincia di Sassari. In questo edificio religioso risalente nelle sue parti più antiche – in stile romanico – all’XI secolo, è presente nel suo lato verso sud appunto un graffito di forma circolare suddiviso da otto raggi accuratamente definiti. Un foro al centro, destinato a contenere un’asta, contribuisce a svelarne la funzione, cioè quella di meridiana. Il fatto tuttavia che a differenza delle classiche meridiane del mondo antico e medievale, si presenti non come una semicirconferenza, ma come un cerchio completo, dotato cioè anche di una parte superiore dove l’ombra non arriva mai, fa sospettare che il graffito (o “ruota della vita”, come viene denominato ad esempio anche nelle culture orientali) avesse anticamente anche una funzione simbolica, ovvero il richiamo a tutta l’antica tradizione archeoastronomica e religiosa del passato che ancora in età medievale non venne mai meno.
Significativi sono anche alcuni esempi rupestri di triplici quadrati, come quello inciso sulla “Roccia delle Alci” in Val Germanasca-Balziglia, Piemonte, associati a figure di animali ed a coppelle utilizzate probabilmente per lasciarvi delle offerte. Tali esempi richiamano alla mente alcune preistoriche rappresentazioni di uomini, animali ed altri simboli, come quella dell’”uomo-uccello” nella Grotta di Lascaux in Francia, la cui enigmatica disposizione ha suscitato parecchi interrogativi presso i ricercatori. Una decina di anni fa lo studioso tedesco Michael Rappenglueck, simulando al computer la mappa del cielo del 15.000 a. C. (l’età dei dipinti nella grotta) ha osservato come la disposizione delle diverse figure – l’uomo, il bastone a forma di uccello, il bisonte, il rinoceronte, ecc. – corrispondano a gruppi di stelle che dagli sciamani del paleolitico potevano essere raggruppati in vere e proprie costellazioni (da: Giulio Magli – Misteri e scoperte dell’archeoastronomia – Newton Compton, p. 19 e sgg.).

Triplice Cinta nell'Abbazia di benedettina di Piona (LC) - Foto di Marisa Uberti
Triplice Cinta nell’Abbazia di benedettina di Piona (LC) – Foto di Marisa Uberti

Dunque, similmente ai simboli ad otto elementi di forma circolare, anche i complementari simboli di forma quadrata (le “Triplici Cinte” vere e proprie) potrebbero riprendere i medesimi significati astronomico-religiosi tanto dei grandi cerchi megalitici quanto delle piccole meridiane portatili di Qumran e Monte Bibele, con la  rappresentazione degli otto orientamenti fondamentali (tramite croci e angoli) e con le tre suddivisioni concentriche dello spazio interno. Unica variante: la sostituzione della forma circolare con quella quadrata, per motivi probabilmente anche di “dissimulazione” . Tra i numerosi esemplari censiti in tutta Italia, non sono pochi i graffiti quadrangolari con un un foro al centro (come nell’Abbazia di Piona, in provincia di Lecco, o in diverse località laziali) che suggeriscono oltre che un’analogia di significati simbolici anche un uso simile a quello delle meridiane di Qumran e Monte Bibele.
Marisa Uberti e Giulio Coluzzi hanno osservato che ancora in epoca cristiana, particolari luoghi rupestri ritenuti sacri venivano segnati con simili simboli con otto elementi (più o meno elaborati): “…Il simbolo della triplice Cinta sulle rocce poteva assumere un significato simbolico di ‘sacralizzazione’ di un posto o della sua valenza magico rituale, sul quale poteva impiantarsi, in tempi successivi, una diversa tradizione o cultura, che andava adeguando gli schemi a modelli intellettuali strategici, come i giochi, forse l’unica ‘forma’ con cui poteva continuare a sopravvivere nella memoria e nella società…” (M. Uberti, G. Coluzzi – op. cit. p. 34). Dalla catalogazione da loro effettuata tuttavia risulta che la maggior parte dei graffiti di forma quadrata – come si è già detto – si riscontrano in edifici religiosi del periodo medievale, e ciò sarebbe dovuto al fatto che con la nuova religione gli “spazi sacri” abbandonarono i luoghi naturali aperti per concentrarsi esclusivamente fra le solide mura delle chiese. Perpetuando un costume ereditato dalla precedente tradizione, vi fu evidentemente chi continuò a segnare col “marchio” megalitico-astronomico i nuovi luoghi sacri. Erano pagani ? Erano cristiani convinti in buona fede di “benedire” ulteriormente il luogo di culto ? E’ certo comunque – come si sono resi conto i medesimi autori del volume – che spesso le autorità ecclesiastiche avversavano tale pratica, poichè taluni graffiti risultano cancellati e rimossi già in età medievale. Probabilmente fu anche per tale motivo che i simboli megalitico-astronomici non solo vennero stilizzati sempre più in forma quadrata, e non più circolare, ma assunsero anche innocenti funzioni ludiche, a scopo di “mimetizzazione” e maggiore tollerabilità da parte della Chiesa.
Tuttavia anche verosimili spiegazioni come queste devono fare i conti con aspetti suscettibili di contraddirle. Ad Osimo, antica città marchigiana in provincia di Ancona, una fitta rete di gallerie e cunicoli disposti su più livelli e collegati da pozzi verticali, racchiudono ambienti per molti secoli adibiti chiaramente – a motivo delle raffigurazioni e dei simboli ritrovati – a riunioni segrete di gruppi seguaci di culti esoterici (eretici ? Templari ?). Fra statue di demoni, inquietanti mascheroni e croci “patenti” – come quelle dei templari – scolpite o dipinte in rosso, è presente anche una Triplice Cinta dotata di più di tre quadrati (cinque per l’esattezza), accuratamente scolpiti in maniera tale da formare quattro cornici concentriche “che sembrano ‘guidare’ chi le osserva verso il quadrato più basso, come se fossero dei percorsi o gradinate convoglianti verso la ‘piattaforma’ centrale, piana e priva di incisioni o fori. Il quadrato più esterno è unito con i ‘consueti’ segmenti perpendicolari a quello più interno, mentre mancano del tutto segmenti in diagonale. Come mai qualcuno ha scolpito questo simbolo in un tunnel sotterraneo buio e segreto ? Come mai non lo ha semplicemente graffito, esprimendo ‘concettualmente’ il senso recondito che voleva imprimergli e che altri probabilmente avrebbero inteso, ma ha voluto ‘conformarlo’ proprio in questa maniera? (cfr. I luoghi delle Triplici Cinte, op. cit. p. 70). In tali ambienti segreti non sarebbe stata necessaria alcuna opera di “dissimulazione” nei confronti di alcuna autorità inquisitoria, il simbolo megalitico ad otto elementi lo si sarebbe potuto rappresentare chiaramente anche in forma circolare, ed in effetti alle pareti delle medesime gallerie non mancano diversi esempi di fiori ad otto petali dipinti in rosso. Si dovrebbe forse ammettere che la Triplice Cinta in questione sia stata scolpita in tarda età medievale o addirittura posteriormente, allorchè essa aveva già sciolto qualunque legame concettuale con i simbolismi circolari, ed aveva ormai assunto significati propri ed autonomi ?

Spirale graffita nel Nuovo Messico
Spirale graffita nel Nuovo Messico

La ricerca e la riflessione su questo argomento ovviamente è ancora lunga e apre nuovi interrogativi, ad esempio se altri enigmatici simboli circolari di tutte le epoche, come le spirali o i labirinti, abbiano o meno una radice comune o perlomeno una correlazione di significati con la cultura megalitico-astronomica: se siano assimilabili cioè a rose a otto petali e a Triplici Cinte circolari. Nella località laziale di Alatri (Frosinone), famosa per le sue antiche ed enigmatiche mura costruite con massi poligonali – con una tecnica cioè simile a quella riscontrabile in alcuni siti sudamericani, come Machu Pichu o Sacsahuaman – le incisioni di Triplici Cinte presenti nella Chiesa di San Francesco (XIII sec.) si trovano anch’esse in compagnia di graffiti circolari con otto raggi analoghi alla meridiana sarda di Bulzi, e persino di una croce “patente” come quella dei Cavalieri Templari. In una cripta sotterranea nella medesima chiesa, scoperta nel 1997, sono stati ritrovati anche alcuni affreschi, in pessimo stato di conservazione, riproducenti stelle, spirali, rose ad otto petali, e la raffigurazione di un labirinto di dodici cornici concentriche al centro del quale appare l’immagine di un Cristo Pantocrator che con una mano (provvista di un anello) regge un libro mentre con l’altra afferra un’altra mano di qualcuno “fuori campo” (cfr. I luoghi delle Triplici Cinte, op. cit. p. 194-197).
 Va detto per inciso che la correlazione fra il simbolo della spirale (presente in molte parti del mondo) e la cultura archeoastronomica è stata dimostrata in almeno un caso, non nel Vecchio Continente, bensì in America. Nel Nord dello stato del Nuovo Messico (Usa) si trovano le rovine della civiltà degli indiani Anasazi, un antico popolo per molti versi ancora enigmatico, fiorito tra il IX ed il XIII secolo della nostra era. I resti degli enormi edifici (Grandi Casas) sparsi all’interno del Chaco Canyon, come Pueblo Bonito, il più suggestivo tra questi, costituiscono un vero paradiso per gli archeoastronomi, in quanto non soltanto presentano precisi orientamenti con punti cardinali, equinozi, solstizi e persino con le maggiori fasi lunari, ma i medesimi edifici risultano significativamente orientati tra loro e le coordinate astronomiche, come in un vero e proprio “spazio sacro” (per usare i termini di Mircea Eliade). In questo “Canyon delle meraviglie” sono presenti anche una moltitudine di graffiti e pittogrammi con i temi ed i simboli più svariati. In un sito chiamato Fayada Butte sono raffigurati alle pareti rocciose delle spirali che si comportano come dei veri e propri calendari solari e lunari: “…l’esempio più interessante è il cosiddetto petroglifo delle tre lastre, sempre nei pressi della vetta. Il disegno è composto da due figure a spirale. Alla superficie rocciosa sono appoggiate tre grandi lastre di pietra, alte più di due metri e pesanti circa una tonnellata. La luce può illuminare le figure solo attraverso le due aperture tra le tre lastre, ed il percorso delle lame di luce così formate varia a seconda del giorno. Al solstizio d’estate la lama di luce percorre il centro della spirale più grande. Nei giorni successivi la “freccia” si sposta verso destra e una seconda “freccia” compare alla sua sinistra. All’equinozio questa seconda lama di luce raggiunge il centro della spirale più piccola. Il movimento di entrambe prosegue verso destra fino ad illuminare tangenzialmente, al solstizio d’inverno, la spirale più grande. Inoltre, continuando ad osservare gli effetti di luce e di ombra durante il corso dell’anno, i membri del Solstice Project si accorsero che quando il sole ha un azimuth vicino a quello della luna alla stazione minore nord l’ombra formata dal sole all’alba “taglia in due” la grande spirale illuminandone metà…” (da: Misteri e scoperte dell’archeoastronomia, op.cit., p. 155). Naturalmente non è detto – anzi è poco probabile – che le spirali ed i labirinti presenti in Europa, prima di diventare simboli cristiani del pellegrinaggio dell’uomo di fede in questo mondo, avessero la medesima funzione di quelle adoperate dagli Anasazi. Una delle ipotesi è quella che volessero raffigurare semplicemente il movimento circolare delle stelle attorno al polo celeste.

Tornando alla nostra vecchia Europa, è comunque certo che la tradizione ed il complesso di idee collegate ai fiori a otto petali, alle triplici cinte ed alla civiltà astronomico-megalitica conservata e tramandata da più di una cultura – la celtica, l’ellenistica, le mediorientali, la cistercense, e certamente anche quella templare – sopravvissero per tutto il medioevo, finendo poi per congedarsi dalle pareti delle chiese, ove dal XV secolo non viene più graffito alcun tipo di Triplice Cinta (all’infuori di quelle incise esclusivamente con finalità ludiche), per confluire quindi nella più esoterica e riservata cultura astrologico-alchemica che proprio negli ultimi secoli dell’età di mezzo si va strutturando. Come fece notare Renè Guenon “uno dei simboli più comunemente utilizzati dagli astrologi per descrivere l’oroscopo, il Quadrato delle Case Zodiacali, non è altri che la nostra Triplice Cinta con gli stessi elementi, semplicemente disposti in un ordine differente: comunque sempre tre quadrati concentrici e quattro tratti diagonali che li raccordano…” (cfr. I luoghi delle Triplici Cinte, op. cit. p. 46).
Forse uno degli ultimi a nascere e vivere in una società ancora apertamente permeata di simbolismi – come quelli profusi a piene mani in ogni angolo delle imponenti cattedrali gotiche – fu proprio l’imperatore Federico II. Egli che certamente sin da giovane apprese i fondamenti della tradizione archeoastronomica dai suoi maestri arabi, probabilmente con il suo enigmatico castello pugliese di otto lati e otto torri intese realizzare una sorta di Stonehenge gotica, densa, oltre che di simbolismi, anche di orientamenti astronomici, giochi di luce e ombre con significati non ancora del tutto compresi. Lui, al quale era stato profetizzato che sarebbe morto “sub flore”, aveva amato per tutta la vita il simbolo della rosa ad otto petali e tutta l’ermetica tradizione archeoastronomica a cui era collegata. Non è escluso che con Castel del Monte – monumentale corona, o anche fiore, al centro del suo impero – intendesse anche “sacralizzare” tutti i suoi domini, e riuscire anche ad esorcizzare l’avversa sorte che si sarebbe scatenata contro di lui e la sua famiglia di lì a qualche anno.

Nota 1. Marisa Uberti, una delle autrici del volume “I luoghi delle triplici cinte in Italia” ha inviato una nota nella quale assicura che la meridiana ad otto raggi di Bulzi (SS) ha una struttura rettangolare e non circolare. E’ inoltre dell’idea che la Triplice Cinta, in base a quanto scritto in questo articolo e sul Suo libro, “parrebbe quasi certo che da simbolo è divenuta, ad un certo punto, gioco. Ma c’è ancora molto da indagare al riguardo. Infatti mi rendo conto che dire se la TC sia nata come un gioco o come un simbolo e si sia poi ‘trasmutata’ in uno o nell’altro, è arduo. Per molti la differenza non farebbe granchè mentre per me è fondamentale capirlo. Perchè in base al fatto che sia nata come un simbolo si potrebbe capire anche la cultura che lo ha generato. Se fosse nata come ‘passatempo ludico’, come sembrerebbe dai miei studi più recenti (ma non terminati perchè ci sto lavorando), beh, potrebbe essere la variante di schemi già esistenti. Solo che non si capirebbe perchè poi per duemila anni (dal tempo dei Romani che sicuramente la usavano) la sua forma sia rimasta immutata, fino ai giorni nostri. La TC come meridiana o cronografo solare è interessante. Alcuni autori hanno già formulato questa teoria che comunque non esclude automaticamente le altre, a mio modesto parere. L’ultima scoperta in tal direzione è il ritrovamento di una consunta TC su un blocco dell’Acropoli megalitica di Alatri. I due scopritori sostengono sia antichissima, coeva all’acropoli che – come oggi si ammette – è precedente all’epoca romana. E la considerano un cronografo per calcolare il tempo ciclico. Potrebbe però essere stata incisa in tempi successivi, come intelligenza vuole pensare. Lo stato di consunzione non è garanzia di antichità, è chiaro. Invito chiunque sia interessato a leggere maggiori notizie cliccando qui: www.duepassinelmistero.com/TCpreromana.htm

Nota 2. Le foto del bassorilievo babilonese e della stele funeraria romana sono dell’autore. Le immagini delle meridiane di Qumran e di Monte Bibele sono tratte dal sito www.cropcircleconnector.com Come esplicitamente dichiarato in tale web, la riproduzione delle loro immagini per fini non commerciali è libera. Per ragioni di correttezza si è ugualmente già provato a contattare i responsabili del sito, ma senza alcuna risposta. Si resta comunque a loro disposizione per qualsiasi chiarimento. Si ringrazia Marisa Uberti per aver gentilmente fornito la foto della Triplice Cinta dell’Abbazia di Piona. L’immagine della spirale del Nuovo Messico è tratta dall’Enciclopedia libera www.Wikipedia.org