Ieri è morto ancor di più il giornalismo, quello vero. Sì perché ieri è scomparso un giornalista, ma non un giornalista qualsiasi, bensì un giornalista d’incursione. Uno che la storia non se la faceva raccontare, ma la viveva. Uno che non si fidava dell’informazione, per questo faceva informazione per tentare di renderla più veritiera, più trasparente. Quel giornalista si chiamava Giulietto Chiesa. Abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo in due occasioni, la seconda in casa sua quando ci concesse un’intervista. Di lui ci rimarranno l’impegno politico, certo, quello televisivo, quello saggistico. Scrisse il libro “Zero” battendosi contro la versione ufficiale dell’attentato al World Trade Center del triste 11 settembre 2001. Fu girato anche un documentario sull’argomento e fu aspramente criticato per le sue posizioni. Contrattaccò con “Zero 2”, ma scrisse anche molti altri volumi interessanti. Per chi lo conosce solo come una specie di “complottista” è bene ricordare che Chiesa fu un profondo conoscitore della società e del mondo russo e non solo, che, insomma, come giornalista cercò sempre in ogni modo di grattare via quella patina di mezze verità e compromessi con cui si scrive la storia “utile” ai più, per farci vedere cosa c’era dietro. Era uno che davanti al torbido non abbassava la testa, no, lui esigeva che fosse fatta luce. E’ naturale che non sempre abbia intuito correttamente, ma Chiesa ha lottato per la verità. Quanti possono dire la stessa cosa?
Di lui ricorderemo di certo quanto disse davanti alla nostra telecamera, ma soprattutto non dimenticheremo la sua cordialità con dei perfetti sconosciuti, quali noi eravamo, non dimenticheremo la sua stanza piena di libri su mensole bianche inchiodate alla parete, non dimenticheremo il suo borsalino color carminio che lo distingueva tra tutti quel giorno che lo riconoscemmo per strada poco distante da casa sua. Aveva appena comprato il giornale e ci stava aspettando per l’intervista.