Kim Phuk, la bambina della foto-simbolo della guerra nel Vietnam

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di Paolo Moltoni

Kim Phuk
Kim Phuk

Nel 1965 poche persone si erano veramente rese conto che i soldati americani stavano per iniziare una lunga e sanguinosa guerra in una terra ancora poco conosciuta del sud-est asiatico. Solamente dopo le prime immagini della TV e i commenti dei giornali, l’opinione pubblica si rese conto che era iniziata un’efferata operazione bellica che ben presto sarebbe divenuta tristemente nota come “guerra del Vietnam”. In quegli anni nacquero movimenti pacifisti e si organizzarono proteste. Nel 1965 un giovane di nome Norman Morris si diede fuoco davanti al Pentagono, nel 1967 il campione del mondo di pugilato Cassius Clay rifiutò di andare a combattere in Vietnam e gli fu tolta la licenza da pugile. Ma più d’ogni manifestazione pacifista, più d’ogni gesto clamoroso, ci sono una fotografia e una bambina che contribuirono a cambiare la sensibilità e a risvegliare la coscienza della gente, nei confronti della guerra del Vietnam.
La foto fu scattata l’8 giugno 1972 a Trang Bang, a pochi chilometri da Saigon, dopo un bombardamento aereo con bombe al napalm. La bimba che fugge terrorizzata è Kim Phuc, allora aveva nove anni. Oggi Kim vive in Canada, è ambasciatrice della pace per l’Unesco e dirige una fondazione per aiutare i bambini vittime di guerra. La foto fu scattata da Nick Ut e gli valse il premio Pulitzer.

La guerra in Vietnam

Nel 1965 la situazione politica in Vietnam era di divisione in due blocchi; a nord i comunisti appoggiati da Unione Sovietica e Cina, a sud i filo-occidentali sostenuti dagli USA. La tensione tra Washington e Mosca era altissima e il Vietnam ben presto sarebbe diventato il nuovo teatro della Guerra Fredda.
Forse non tutti sanno che la guerra tra America e Vietnam del nord iniziò sotto gli auspici di una bugia. L’allora presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, denunciò al Congresso l’attacco da parte dei vietnamiti filo-sovietici alle navi americane ormeggiate nel golfo di Tonchino. Ottenne così pieni poteri per dare il via ad un intervento militare. Johnson nella logica della Guerra Fredda, voleva dimostrare agli altri paesi ancora “non schierati” la superiorità dell’ideologia capitalista su quella comunista, e per far ciò non esitò a mentire al Congresso.
Il primo bombardamento in Vietnam avvenne nel 1965, e chi pensava alla solita ed ennesima prova di forza contro Mosca dovette ben presto ricredersi. I vietcong erano ben addestrati e ben armati dall’Unione Sovietica e dalla Cina. I soldati americani in difficoltà sin dai primi anni le provarono tutte, bombardamenti aerei, irrorazione di sostanze esfolianti per stanare i vietcong dalle foreste ed uso indiscriminato delle terribili bombe al napalm.

Il napalm

NapalmIl napalm è un composto chimico cui nome deriva dall’acronimo di due elementi che lo compongono, l’acido NAftelmico e l’acido PALMitico, ai quali sono aggiunti sali d’alluminio per formare un gel altamente infiammabile. È una spaventosa arma di morte; rimbalza come gomma aumentando il raggio d’azione dell’esplosione, la presenza di fosforo bianco amplifica gli effetti ustionanti e rende il composto idrofobo, si appiccica sul corpo e raggiunge una temperatura di 1200 gradi. Le conseguenze delle ferite sono mortali al 90%. Coloro che sopravvivono devono fare i conti con ustioni di terzo grado e danni irreparabili al derma vascolare.
Quella che segue è una conversazione di un pilota americano che parla del napalm: “Siamo certamente soddisfatti degli ingegneri di Dow. Il loro prodotto originario non era così cocente:se i musi gialli fossero stati veloci, l’avrebbero potuto grattar via. Così i ragazzi hanno cominciato ad aggiungere polistirene: ora si attacca come la merda alle suole. Ma poi se i musi gialli lo mettevano sotto l’acqua, smetteva di bruciare, così hanno cominciato ad aggiungere Willie Peter (fosforo bianco), così da farlo bruciare meglio. E basta una goccia, comincerà a bruciare giù fino alle ossa, così muoiono da avvelenamento da fosforo.” Da Ragioni di stato di Noam Chomsky (For Reasons of State. New York: Pantheon Books, 1973).

La fotografia che cambiò il mondo

“La fotografia divide la vita in attimi:
ognuno ha il valore di una vita intera”
E. J. Muybridge

Fu proprio il napalm, quest’infernale composto chimico, che fa urlare di dolore e di paura la piccola Kim Phuc. La fotografia della bambina vietnamita venne pubblicata sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo e segnò dolorosamente un’intera generazione. Quell’immagine aprì una ferita talmente profonda, nella coscienza umana, che portò la gente a sentirsi in dovere di fare qualcosa per fermare la guerra. Nella dannata logica della guerra si poteva sopportare la morte o il ferimento di un soldato, ma nessuno poteva accettare che fossero bambini indifesi a subire le atrocità di quel conflitto. La foto di Nick Ut provocò un sussulto nella coscienza addormentata delle persone, un tale impatto emotivo che riuscì a cambiare per sempre quella scala di valori che collocava il bene ed il male al di qua o al di là di un muro. Un muro che allora divideva il mondo capitalista da quello comunista.
Certamente quando Nick Ut, reporter di guerra, scattò una delle tante foto nell’intento di documentare la guerra in Vietnam, non avrebbe mai potuto immaginarne le conseguenze.
Proviamo a ricostruire quel giorno dell’8 giugno 1972.
Per Nick Ut è una delle tante giornate di lavoro sul fronte di guerra. Inserisce un rullino nella macchina fotografica, fa scorrere l’ingranaggio e scatta il suo primo click a vuoto. Sulla Route 1 è stata segnalata la presenza dell’esercito nord vietnamita. Indossato il giubbotto antiproiettile, il casco rivestito in acciaio ed imbracciato lo zaino col kit di sopravvivenza Ut sale sulla jeep dell’agenzia di stampa AP. Durante il tragitto sulle strade devastate dalle bombe e costeggiate da risaie ormai abbandonate, sono poche le parole che scambia con l’autista vietnamita. In prossimità del villaggio Trang Bang, dove da tre giorni l’esercito nord vietnamita e quello sud vietnamita si fronteggiano, centinaia di rifugiati. Man mano che la jeep si avvicina alla zona di guerra i civili sono sempre di meno mentre sempre più numerosi sono i soldati. A pochi metri dal villaggio Ut lascia la macchina, ci sono altri reporeters ad attenderlo, devono proseguire a piedi, insieme ai soldati sud vietnamiti. L’adrenalina comincia a scorrere sempre più velocemente nel corpo di Ut. Con le mani sudate stringe la sua macchina fotografica appesa al collo con un laccio verde militare. Poi improvvisamente la truppa si ferma, un soldato sta parlando alla rice-trasmittente…l’ordine che riceve è quello di allontanarsi dal villaggio. Ut ancora non sa del perché di quell’imprevisto dietro front, ma segue insieme con gli altri reporters i soldati. È circa mezzogiorno quando i giornalisti sono informati che è in arrivo il supporto aereo. Due aeroplani di istanza alla base di Bien Hoa bombarderanno il villaggio per stanare i vietcong che si nascondono a Trang Bang.
Un tracciante di fumo giallo è stato acceso da un soldato per favorire l’aviazione nell’individuare l’obiettivo da colpire. Sono le 13 quando arrivano gli aerei, i soldati e i reporters che si trovano sulla strada che porta a Trang Bang, si alzano tutti in piedi dritti a guardare. Due Skyrider del 518° squadrone dell’aeronautica sud vietnamita bombardano il villaggio, prima con bombe esplosive, poi con bombe incendiarie al napalm.
Click, click e ancora un altro click. Gli aerei in avvicinamento, le bombe che cadono, l’esplosione.
Nick Ut è abbastanza soddisfatto dei suoi scatti. Ora un enorme polverone nero si alza dal Trang Bang, gli aerei si allontanano, non c’è più nulla da fotografare. Ut controlla quanti fotogrammi gli rimangono da scattare.
Sono passati circa venti minuti dalla fine dei bombardamenti e dalla nube nera cominciano ad apparire, come fantasmi, sagome di persone in fuga, che corrono verso la linea dei soldati e dei reporters. Ut non crede ai propri occhi, sono civili, abitanti del villaggio. Man mano che si avvicinano le sagome prendono forma. Nudi o seminudi perdono brandelli di pelle ad ogni passo. Ci sono adulti con neonati in braccio, bambini che corrono terrorizzati…ma non c’è tempo da perdere, con mano tremante Ut accosta l’obiettivo all’occhio, click, click ed ancora click.
 Nick Ut ancora non sa di aver appena scattato quella che diventerà la foto-simbolo dell’orrore della guerra del Vietnam (e di ogni guerra). Ora la sua attenzione è catturata da quella bimba, che nuda ed indifesa corre verso di lui. I soldati cercano di alleviarle il dolore versando acqua sulla pelle che si sta sciogliendo come plastica che brucia. È inutile, il fosforo bianco rende il napalm idrofobo, Kim lancia un ultimo grido di dolore e perde i sensi.
Ut è abituato all’atrocità della guerra, anni spesi sul fronte gli hanno insegnato che le bombe non distruggono solamente case, ponti e troppe vite, ma anche i sentimenti umani. Nick si avvicina alla bambina traballando sulle gambe che gli tremano come non gli era mai successo, solleva quel corpo esile, devastato dalla chimica e lo porta sulla jeep. La corsa verso l’ospedale provinciale vietnamita sembra senza tempo. Nick rimane accanto alla bimba fino a quando non viene portata in sala operatoria dagli infermieri.
Un minuto dopo il reporter è sulla strada verso Saigon, dove consegnerà i rullini all’agenzia di stampa Associated Press. Nick ancora non sa quale incredibile fotogramma è impresso in una delle sue pellicole. Ancora non sa se la piccola Kim sopravvivrà, e certamente non avrebbe mai potuto immaginare che quella piccola indifesa bambina, 28 anni dopo, lo avrebbe pubblicamente ringraziato durante una cerimonia (alla presenza della regina Elisabetta II), per avergli salvato la vita.

La vita di Kim Phuk
Kim Phuk oggi
Kim Phuk oggi

Oggi Kim è una donna serena e dal sorriso rassicurante, ma per anni quell’immagine dal profondo impatto emotivo è stata usata per scopi propagandistici. Prima dai pacifisti che manifestavano contro la guerra in Vietnam, poi dal regime comunista ed infine dagli americani. Oggi Kim ha deciso di riappropriarsi di quell’immagine e della propria identità ormai trasformata in icona fotografica. Oltrepassando ogni barriera ideologica e politica, spera che la fotografia di Ut si trasformi in un messaggio di pace universale. La bimba che scappa terrorizzata dalla pioggia di napalm non è la vittima del male comunista o del male capitalista, come i vari schieramenti hanno cercato di propagandare. La piccola Kim è vittima di un male universale, privo di colore e d’ideologia, un mostro cinico e cieco chiamato Guerra.
A dispetto del significato del proprio nome “felicità dorata”, all’età di nove anni Kim Phuc ha dovuto combattere per rimanere in vita, ha trascorso quattordici mesi in ospedale ed ha subito diciassette interventi chirurgici. Con la stessa forza e la stessa determinazione di allora Kim oggi combatte per dare voce all’urlo, espressivo, ma in ogni modo silente della bambina immortalata nella foto.
Nel 1992 Kim, all’età di vent’otto anni, fugge dal regime sovietico in occidente dove è accolta come rifugiata politica.Oggi la signora Kim Phuc vive a Toronto in Canada, è ambasciatrice per la pace per l’Unesco e si occupa dei bambini vittime di guerra, è sposata e ha due figli.
Nonostante le conseguenze ancora oggi dolorose delle ferite, Kim è spesso in giro per il mondo per portare un messaggio di speranza ai bambini minacciati dalla guerra. Durante una cerimonia dell’Unesco a Parigi ha dichiarato “Si, perdono, ma non dimentico, per impedire che la stessa cosa possa accadere ancora”. Nel 1996, ventiquattro anni dopo il bombardamento di Trang Bang, Kim si trova a Washington per tenere un discorso durante la celebrazione del Vietnam Veterans Memorial. Molti veterani ascoltano commossi le parole della sorridente donna asiatica, ma c’è n’è uno che più degli altri sembra preda dei fantasmi del passato. È John Plummer, il comandante che ordinò il bombardamento col napalm, oggi pastore della chiesa metodista. Kim aveva già espresso il desiderio di poterlo incontrare e in quell’occasione fu uno degli organizzatori a permetterne l’incontro in forma privata. In seguito dirà “L’ho perdonato perché ho riconosciuto l’amore nei suoi occhi”.
Kim Phuc e lo “zio Nick” come lei ama chiamarlo, hanno intrecciato le proprie vite durante alcuni degli anni più bui della guerra in Vietnam, oggi con il loro impegno e le loro testimonianze stanno scrivendo alcune delle pagine più luminose della storia contemporanea dell’umanità.