Quaderni di archeologia fantastica/2

SFINX

(L’enigma svelato)

di Giorgio Mancinelli

“Solo il fantastico ha qualche possibilità di essere reale”.

Teilhard de Chardin

PREFAZIONE
Non ho mai sottovalutato il desiderio inestinguibile di senso, lo spazio irriducibile dell’interpretazione, la parola come superamento del silenzio, come neppure ho mai pensato a una concezione del tempo che propendesse per un atteggiamento diverso nei confronti del presente o del passato. Piuttosto, che rendesse pensabile una diversa costruzione del futuro, ove il tempo non fosse semplicemente memoria di forme, o apparenza di significato, bensì incontro di realtà e immaginazione, ripetizione d’inconscio, reminiscenza involontaria di quel presentimento del fantastico che si annida in ognuno di noi.
Così, come certamente occorse a Jean Potocki, (il grande viaggiatore di fine ‘800), davanti a ciò che non era mai cambiato nell’astratta sensazione del vissuto, la cui sembianza figurativa del passato diventava ripetizione di ciò che siamo, anch’io mi sono chiesto: “Quale anima è così inaccessibile all’ammirazione da potersi sempre difendere da questo esaltato sentimento che è l’immaginario?”, nel mentre, pur rimanendo sempre uguale a me stesso, andavo riscoprendo la memoria antica, farsi presente nella realtà del tempo in cui vivevo.
Né il desiderio di scienza né l’attenzione del filologo, mi sono mai sembrate poter essere dimora essenziale di ciò che sono. Sebbene, in virtù di ciò che a volte vale il mio segreto sentire, tendo a trasportare l’impostazione conoscitiva al di sopra dell’orizzonte cosmico che mi è dato. Consapevole che ogni mia azione trova una diversa ragione d’essere, un sentire “altro” in cui l’immaginario si esprime e si rappresenta secondo le proprie tendenze e aspettazioni.
Così come la seduzione non è solo dei corpi o della mente, anche il mio ambito viaggiare, preso a immagine e simbolo, può diventare un paesaggio dell’anima dalla cui profondità si dipartono sia la ragione dei pochi, che la follia dei molti. “Allora, per quanto ci si allontani, all’immaginazione stanca, resterà solo e per sempre l’idea dell’immensità”, come pure scriveva Jean Potocki, ancora agli inizi del Novecento, in occasione di un suo viaggio attraverso il Sahara.
Quella stessa immensità di chi, come me, un giorno ha scoperto la via di un possibile dialogo tra le diverse forme di cultura e di modelli interpretativi delle prime civiltà, tra gli ammirevoli scenari “oggettivi” della natura e “l’astrazione” insita nel divino che verosimilmente l’ha creata, trasferendo l’anima profonda del mondo, nell’opera pur grandiosa dell’uomo. All’interno di quella realtà/irrealtà ch’è fuori dal tempo, nell’armonia della quale, s’incontra la bellezza del creato, e alla cui seduzione mi sono volontariamente arreso.
“Solo il fantastico ha qualche possibilità di essere reale” ripeto sovente a me stesso, citando Teilhard de Chardin, nel far ritorno a quando lo scrivere era considerato privilegio esclusivo di “colui che scrive”, ancor più che un‘incombenza per le sue infinite possibilità di applicazione. Di certo un mestiere antico, anzi millenario, che non ha ancora esaurito il mandato assegnatogli in origine, tantomeno ha esautorato la sua finalità di mezzo per la circolazione delle idee e dei pensieri.
Quella parola “detta” che pur risuonando magica all’ascolto, suonerebbe vaga, difficile da interpretare e fermare nella mente, senza prima averla trascritta, come del resto accade per tutto ciò che riguarda il surreale, il suggestivo, il fantastico, che è poi il contenuto dell’immaginario, l’intuizione creativa, l’invenzione, il pensiero apparente, ove apparenza sta per evidenza, visibilità, manifestazione, ierofania. Sono questi i soli luoghi dell’anima dove ancora è possibile ampliare la nostra futura conoscenza, oppure indugiare nell’ ignoranza, abbagliati dalla luce dell’innocenza o dannati per sempre nel voler raggiungere il “sublime” che pure ci portiamo dentro. Consapevoli di un assoluto che si manifesta attraverso ciò che siamo divenuti e che abbiamo saputo riunire nell’immutabile gioco delle esistenze, d’ogni singola esistenza. Esito ancora davanti a una simile rivelazione, come esitai un giorno nei passi prima di arrivare al cospetto della Sfinge che maestosa si mostrava ai miei occhi attoniti, nella piana di Giza.
Ricordo che il sole s’inabissava al tramonto, “l’ora più bella”, non già dietro una duna, bensì al lato della grandiosa piramide di Chefren che al pari di una spessa quinta, ne adombrava il volto. O era forse a causa di un’eclissi che già Horo, il “dio grande” dell’Antico Regno, aveva predisposto nell’ordine del tempo, lasciando risplendere ogni cosa intorno della sua straordinaria e luminosa bellezza .
Horo, che in quell’istante decideva di spegnere il giorno, così come ugualmente decideva del proprio destino che, abbagliato di luce, andava a morire a Occidente, per poi rinascere, l’indomani, dopo un lungo e periglioso viaggio, nel buio stellato della notte, a Oriente. Allorché, rivolto lo sguardo intrepido sul mondo, restituiva all’umanità tutta, la suprema certezza del suo “essere divino”, l’infuocato astro del Sole che rifulgeva altissimo sulle altre stelle…

L’autore

INDICE
Prima parte: Viaggiatore sulle ali del tempo

L’autore
Giorgio Mancinelli giornalista e saggista, ha lavorato in qualità di programmatore e conduttore per la RAI (Folkoncerto – Maschere Rituali – Cantarballando); per la RSI (Itinerari Folkloristici – Il canto della Terra); per Radio Vaticana (Studio A). Autore di numerose pubblicazioni:articoli, commenti, piece teatrali (Premio Goldoni 1991);  fiabe (vincitore del premio H. C. Andersen 1996); libri: Gli Ultimi Nomadi, Anno Domini (usanze e costumi di una tradizione), Musica Zingara (testimonianze etniche della cultura europea), “Premio L’Autore per la Saggistica 2006)”; collabora alla collana di Etnomusicologia “Musical Atlas” edita dall’UNESCO-EMI. Vive e lavora a Roma.