Le streghe esistono?

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Andiamo alla scoperta delle streghe, esseri fantastici che da sempre vivono nelle leggende e nei racconti popolari

di Hunter Brothers e Nicoletta Camilla Travaglini

La strega è una donna ritenuta dedita all’esercizio della stregoneria, ovvero, secondo vasta credenza popolare tradizionale a molte culture, una donna che si ritiene sia dotata di poteri occulti; il suo omologo maschile è stregone.
La figura della strega ha però radici che precedono il Cristianesimo ed è presente in quasi tutte le culture come figura a metà strada tra lo sciamano e chi, dotato di poteri occulti, possa utilizzarli per nuocere alla comunità, soprattutto agricola.
Solitamente le streghe si distinguono in due categorie, streghe nere e streghe bianche. Secondo la tradizione, le prime hanno più probabilità ad avere contatti con il male, mentre alle seconde, vengono attribuiti dei poteri di guarigione.
Il termine deriverebbe dal greco “stryx, strygòs” e sta per “strige, barbagianni, uccello notturno”, ma col passare del tempo assunse il più ampio significato di “esperta di magia e incantesimi” (Wikipedia). Sembra che le streghe possano ricondursi ad una unica divinità universale, la Grande Madre, di cui, esse, rappresentano le vari epifanie!
Lilith è la dea della tempesta ed è un demone femminile. Essa fu la prima moglie di Adamo che, disobbedendo ai voleri di suo marito, fu allontanata. Nella mitologia islamica essa è la moglie di Iblis, il diavolo, e madre di tutti gli spiriti maligni. Secondo quanto afferma Fabio Truppi:
“Lilith non fu la sola divinità oscura dell’antica civiltà del Vicino Oriente Antico. Altra terribile dea-demone mesopotamica denominata, tra l’altro, “sorella delle divinità delle Strade”, era Lamashtu. Da entrambe deriverebbe proprio la famosa dea greca Ecate, figlia di Zeus e Latona, o di Perseo e Asteria, oppure di Ade e Demetra. Ecate era anzitutto la personificazione della Luna, non priva di aspetti sinistri, la quale presiedeva durante la notte alle strade; la sua statua veniva posta in ogni incroci, e incuteva paura persino agli spiriti, essendo essa la guida notturna dei morti.
Fu ideata con tre teste, le tre fasi lunari, con chioma di serpi, reggente fiaccole e pugnali; siamo in presenza di una delle prime forme di Trinità divina (come per la teologia cristiana nei confronti del proprio Dio) largamente diffusa e conosciuta e di cui si hanno raffigurazioni già nel Vl sec. a.C. (Una divinità analoga altrettanto importante nella cultura minoica del II millennio a.C. era stata la cosiddetta Dea dei Serpenti.) Gli antichi Greci credevano che avesse influenza sul bestiame, rendendolo fecondo o sterile a seconda del suo imperscrutabile volere; per far propendere verso la prima di tali evenienze, essi non mancavano di offrirle focacce con impressa la figura di un bue o di un ariete. La civetta era la sua messaggera sebbene nelle raffigurazioni essa poteva apparire più spesso con cani ululanti e simboli lunari; le fiaccole soprattutto significavano la sua funzione di accompagnatrice e protettrice degli uomini nella loro vita e nella strada dal mondo dei vivi a quello dei defunti.
La denominazione Hekate Kleídoukoz, vale a dire “Colei che tiene la chiave”  i si riferisce all’attributo divino che chiarisce come ella fosse predisposta a sorvegliare il “passaggi” dal mondo superiore al mondo infero, ctonio. Il serpente era collegato al mito del labirinto e di tale “passaggio”, ma anche al mondo degli inferi, dal  momento  che striscia sulla terra, divenendo poi secoli dopo, nella cristianità, il simbolo stesso del male.
Presso le popolazioni di cultura celtica, tale importante divinità corrispondeva a Morrigan, la triplice dea lunare moglie del grande dio della luce Lug, di sicura derivazione dalla primigenia Dea Madre della fertilità e della vita. L’aspetto della Trinità (la vergine, la madre e la vecchia), come risulta anche dalla statuaria celtica, è accompagnato dal simbolo della Luna giacché quest’ultima in cielo percorre il triplice ciclo di nascita, crescita e morte. (Figura letterariamente vicinissima alla Morgana arturiana, alter ego dello stesso druido Merlino).
Altre figure molto simili e vicine nella loro significativa simbologia divina sono le Moire della mitologia Grecia, le tre divinità vestite di bianco, chiamate Cloto, Lachesi e Atropo, rappresentate nell’atto di filare i giorni della vita di ogni uomo, della giovinezza alla vecchiaia. In particolare Atropo, la più piccola di statura delle tre, era considerata anche la più terribile, anche e soprattutto perché apportatrice della morte. Tutte e tre, altamente venerate, erano la personificazione stessa del Fato ineluttabile. Nell’antica Roma, la divinità che più di ogni altra si può accostare a Lilith è senz’altro Diana (l’Artemide dei Greci), considerata dea dei boschi e anch’essa personificazione della Luna. Un barlume di tendenza al’riscatto’è d’altronde riscontrabile proprio nella festa a lei dedicata celebrata dai Romani il 13 agosti era la cosiddetta ‘festa degli schiavi’  Con il crollo dell’Impero Romano e la definitiva cristianizzazione dell’Occidente, tutte le divinità pagane vengono eclissate, seppur mai del tutto, mentre si assiste a un crescente e implacabile dominio dell’importanza del ruolo maschile rispetto a quello femminile. A ciò va aggiunta quella profonda crisi economica e sociale che investì il Basso Medioevo, scatenata dall’arrivo e dalla diffusione epidemica della peste in Europa, causa di uno spaventoso tracollo demografico, anzitutto, e di una esasperata paura della morte e del giudizio divino cui neppure la fede e il fervore sembravano porre rimedio. Conseguenza dalle complesse sfaccettature di questa situazione sarà il fenomeno della caccia alle streghe, laddove la vittima sacrificale, che solo il fuoco poteva realmente purificare dal male, diveniva il bersaglio designato di un malessere ormai sfociato nel delirio più atroce e nel più buio oscurantismo (le streghe erano persino accusate di trasmettere malattie). Eppure il fenomeno della cosiddetta’stregoneria’ oggi sappiamo essere molto più razionale e stratificato, nella sua manifestazione, di quanto si è pensato per secoli, fino a tempi recenti. Nell’Europa medioevale ci sono donne che, in mancanza di poteri istituzionali, tentano di far sopravvivere il proprio gruppo sociale mediante nozioni che sono state loro tramandate da tempi ancestrali, e quindi utilizzano il buon senso e la saggezza per risolvere liti, usano erbe e decotti per curare, invero, le malattie, il tutto alimen-tato e tenuto vivo dalla fede nei vecchi dei, molto spesso identificabili con la Natura stessa, con il mondo  delle piante e degli animali. Un concetto sempre più mal tollerato dalla Chiesa con il passare degli anni, tant’è che fu solo in un secondo tempo, quando il fenomeno divenne troppo rilevante per essere accantonato, che si ritenne necessario combatterlo, da principio classificando la stregoneria come una delle tante sette eretiche e successivamente come una categoria a parte” irrimediabilmente segnata appare la sorte della civetta, del gufo e del barbagianni, tutti e tre uccelli notturni, ritenuti indistintamente e simbolicamente malefici e ‘ctonici’ i quali divengono vittime di un ulteriore equivoco che lega la civetta alla parola’strega’; in realtà, una certa differenza tra i vari animali era comunque presente soprattutto nell’antica Grecia dove il gufo era rispettato e ritenuto una sorta di animale sacro, nonché simbolo della dea Atena, a differenza della civetta che poteva invece far parte della selvaggina con cui eventualmente cibarsi. La strix di cui ci parlano Plauto, Properzio, Ovidio e Plinio, quell’uccello notturno che succhia il sangue soprattutto dei bambini e che sovente si presenta come la metamorfosi di una donna malvagia o di una larva, è però identificabile specificamente con il barbagianni; eppure in parecchi dialetti italiani la civetta (che in latino in verità è noctua) verrà chiamata in un modo che dipende proprio dalla parola strix, la cui assonanza con il termine ‘strega’sarà fin troppo scontata.
Nella traduzione rabbinica medievale, Lilith è la sposa infedele di Adamo, la preferita delle quattro mogli del Diavolo e persecutrice dei neonati; il suo odio per Eva scaturiva dal fatto che lei le aveva preso il posto nel cuore di Adamo. Lilith era talmente temuta e la convinzione del suo potere nefasto fu talmente forte nel popolo ebraico che il capofamiglia, o una persona nota per la sua pietà, attaccava alla porta, sui muri, sul letto delle scritte che diceva “Adamo, Eva, fuori Lilith”. Qualche volta venivano aggiunti pure i nomi dei tre angeli (Sanvi, Sansanvi e Semangelof) che, incaricati di annegare Lilith nel Mar Rosso, ne ebbero pietà e la risparmiarono facendosi promettete che non avrebbe fatto del male ai bambini là dove vedeva i loro tre nomi. Mentre la notte della circoncisione, in una ricorrenza così importante per gli Ebrei, Lilith veniva allontanata con la recitazione di letture pie.  Per tutto il Medioevo la civetta Lilith e unanimemente considerata come l’aspetto femminile ancestrale della sessualità oscura, nonché  essere funereo e notturno, così come descritto nei bestiari medievali, e fin troppo facilmente entrerà a far parte della tradizione esoterica e alchimistica. Per centinaia d’anni dunque la fama e I’influenza avute dal mito di Lilith si sono tramandate e preservate/ con una diffusione tale da ritrovare nella tradizione celtica chiari riferimenti a esso, successivamente all’importante divinità lunare di Morrigan. In particolare, è nella mitica figura irlandese della Bonshee che persistono tratti evidenti celtizzati della dea Lilith e del legame con il mondo dell’oltretomba. La Banshee, così come leggiamo nel classico Dizionario irlandese, non sarebbe altro che uno spirito femminile, o fatadonna, che di notte era solita cantare lamentazioni funebri presso quella casa in cui qualcuno giaceva malato ed era vicino alla morte. Una tradizione, così simile a quella italiana dell’Uccello della Morte… (1)

Spesso, quindi, la figura della fata si sovrappone a quella della strega e viene a definire donne con uno stile di vita particolare al di fuori del consorzio civile come quelle che vivevano nei pressi di Bagnaia (VT), lungo la via Francigena, ove sorge Monticchio, antica località sui Monti Cimini circondato da un alone di mistero. Questa piccola comunità aveva un organizzazione matriarcale, costituita interamente da donne era temuta e rispettata dalla popolazione limitrofa. In questo luogo particolare e suggestivo, custode di questi segreti è Ida Pierini. Artista e scrittrice che ha passato anni a raccogliere testimonianze e prove dell’esistenza di questa comunità.  Questa ricercatrice ha visitato  i luoghi e scritto racconti legati a questi luoghi . In una delle tante leggende si racconta di troni dove la Strega Madre gestiva la comunità e di braceri dove le streghe danzavano in circolo.  Uno dei suoi testi più famosi, su questo argomento, è  quello intitolato “Le streghe di Montecchio” di Pier Isa Delle Rupe dove si legge che:
Di fronte a Bagnaia, nell’esedra dei Monti Cimini e precisamente sulla piana “sacra” del Montecchio, dove è stato ritrovato il trono, la leggenda vuole che fosse abitato da streghe, le bellissime figlie della luna.
Venendo ad epoca più recente, il castello e l’abitato di Bagnaia sarebbero sorti dopo la dominazione Longobarda, quando gli abitanti dei vici vicini cercarono scampo nei luoghi più fortificati per sfuggire alle incursioni dei Saraceni. La nostra località in ogni modo si affaccia, per la prima volta, sulla soglia della realtà storica nell’anno di grazia 963 e lo fa con un nome niente affatto molle: Bangaria. Un nome dal suono duro, gutturale, d’evidente estrazione germanica, agli antipodi della latina dolcezza di Balnearia, a mezza strada dal Bagnaia, d’idioma volgare. Balnearia o Bagnaia: un nome che in latino o in volgare equivale sempre a “luogo di bagni”. Etimologi d’epoca remota asseriscono che il suo territorio è stato chiamato così per le abbondanti acque che lo bagnavano e che lo bagnano. Che questa fosse la verità n’erano convinti gli antichi magistrati della Comunità che, in pieno medioevo, per arme della terra adottano con evidenti riferimenti una massa d’acqua increspata, sovrastata da due leoncini, dominati a loro volta da una mitra vescovile Uscendo ora dal campo delle ipotesi vediamo quale sono le prime notizie storiche su Bagnaia. Essa si affaccia sulla soglia della realtà storica nell’anno di grazia 963. quando un certo giorno tale Leo fa da teste ad un atto di compravendita che interessa l’abbazia di S. Maria della Palanzana. L’estensore dell’atto raccolto nel regesto farfense precisa che Leo è “de Bangaria”. Bangaria deve essere già un centro abitato fortificato e cioè un castrum considerato, che sessant’anni dopo, nel 1019, certo Siffredo o forse meglio Sigfrido lascia il castello alla propria figlia Ropa. Viterbo intanto matura l’idea di dare maggior lustro alla propria cattedra vescovile, e quando papa Innocenzo III nomina vescovo di Viterbo certo Raniero, i consoli e i giudici e tutto il popolo viterbese, donano a lui e ai suoi successori in perpetuo la chiesa di S. Maria della Palanzana con tutte le sue pertinenze e il “castrum” di Bagnaia con tutto il suo territorio e i suoi diritti. E’ il 15 ottobre del 1202. E’ nato il feudo vescovile di Bagnaia: il presule viterbese, per oltre tre secoli, sarà  “in temporalibus et in spiritualibus dominus castris” e parlando di Bagnaia dirà: “il nostro castello”.
Nei primi anni del 1300 nasce la confraternita dei disciplinati. Gli uomini portavano appesa al cordone del saio la “disciplina” o flagello, una sferza di cordicelle piene di nodi, con la quale si fustigavano a mortificazione del corpo e per penitenza dei peccati del mondo. Per via di quella sferza e del suo uso, venivano chiamati disciplinati o flagellanti. Proprio in quegli anni a Bagnaia opera attivamente una “Societas disciplinatorum” sotto il titolo di San Giovanni. In questo ambiente cresce e vive la donna del ‘400, preoccupandosi di accudire alla casa, alla famiglia, servire il marito, lavorare nei campi per produrre qualcosa da mangiare. Il suo orario di lavoro era estenuante: dalle 5-6 del mattino sino a tarda notte e i suoi compiti erano duri tanto quanto quelli degli uomini. Generalmente non aveva diritto all’eredità o alla gestione dei beni familiari, non poteva partecipare all’attività politica e religiosa. L’unica concessione era poter entrare a far parte di comunità religiose. Cosicché, se dapprima era soggetta al padre, dopo, nel matrimonio, sarà più o meno sottomessa al marito. Sempre sul tardo ’400 iniziano le repressioni della stregoneria. La chiesa mette al rogo figure femminili che, a suo parere, avevano a che fare con pratiche poco cattoliche. Sono anni tristi, di persecuzione e di sospetti. Famosa è l’eroina francese Giovanna d’Arco, che contribuì a riunire il suo Paese e a risollevare le sorti della lunga e dispendiosa Guerra dei Cent’anni. Anche lei considerata strega e morta sul rogo. Lo spoglio della documentazione concernente la compagnia dei disciplinati di Bagnaia ha fatto emergere un dato importante rimasto fin ora in secondo piano: la costituzione di una sezione femminile di “disciplinatrici”, una novità nel panorama confraternale all’interno della chiesa Cattolica.
Un documento riguardante Bagnaia del febbraio 1446 testimonia per la prima volta la loro esistenza. Si tratta di un atto di donazione relativo ad un apprezzamento di terreno. In questo documento emerge un’istituzione femminile ben definita, dotata di una propria struttura gerarchica, evidenziata dall’ufficio della gubernatrix, e dotata del potere di accogliere, ricevere, gestire beni per la chiesa di Santo Stefano, posta sotto la sua protezione. Come è confermato da altri documenti, in questa chiesa era localizzata la sede del sodalizio femminile dei disciplinati. Per la fabbrica della loro cappella le disciplinatrici potevano agire in prima persona per finanziare i lavori e i restauri. Infatti secondo la volontà della testatrice il petium terre(…) positum in tenimento dicti castri in contrada que dicitur l’ARA DE MONTECCHIO, dovrà essere venduta al maggior offerente e con i denari ricavati dovrà essere riparata la chiesa di Santo Stefano.

Inoltre le Disciplinatrici erano nominate procuratrici in modo che non vi fossero ostacoli giuridici in futuro per gestire in prima persona l’eventuale vendita del bene donato. Proprio questo ruolo attivo è un elemento raramente segnalato dalla storiografia confraternale femminile. La gestione dei beni era di solito affidata agli ufficiali uomini del sodalizio o ad un procuratore Normalmente alle socie era lasciato un margine d’intervento assai limitato, ad esempio si riconoscevano loro compiti di rappresentanza, soprattutto connessi allo svolgimento delle pratiche devozionali ma mai istituzionali. Le “governatrici donne ai vertici dell’associazione, operanti come procuratrici, potevano secondo il loro giudizio, AGERE(condurre,trattare)PETERE (richiedere),REPLICARE (svolgere,replicare), EXCIPERE (Raccogliere, ricevere)OLTRE A TENERE, POSSEDERE, ALLIENARE E VENDERE TUTTI I SINGOLI BENI.
L’assetto istituzionale delle disciplinatrici è maggiormente definito da un altro documento datato 20 dicembre 1462 in cui le disciplinatrici rivendicano un orto tenuto indebitamente da Faustino Iohannis Fustinaglie . E’ interessante notare come le attrici della protesta operino in prima persona, senza nessuna mediazione da parte di un interlocutore maschile. Sono loro che impongono a Faustino di sgombrare entro tre giorni l’orto e non entrarvi più, pena una denuncia penale e criminale. A completare il quadro d’autonomia è la notizia dell’esistenza di un luogo esclusivo di sepoltura per le Disciplinatrici. Il 4 settembre 1464 viene redatto l’atto di acquisto di un luogo di sepoltura nella chiesa di Santa Maria. Il possesso di una zona cimiteriale, così come quella di una propria cappella, sono finora raramente segnalati dalla storiografia. Nella consuetudine medioevale l’erezione di un sodalizio in una chiesa o in un oratorio pubblico non era solitamente concessa alle confraternite femminili. L’Ordinario, o rappresentante della chiesa, normalmente non lo permetteva.
Nel 1527 un gruppo di Lanzichenecchi prende d’assalto il castello di Bagnaia. Gli uomini validi sono tutti morti durante il Sacco di Roma in quanto essendo Bagnaia una terra del patrimonio di San Pietro, quando c’era necessità di difendere il Papa dovevano concorrere alla Sua difesa. In paese c’erano solo bambini, vecchi e donne. Proprio queste organizzano la difesa, a capo delle amazzoni Bagnaiole c’è una ragazza detta Pucciarella, e nel bel mezzo della battaglia colpisce il capitano lanzichenecco con un mortaio uccidendolo e liberando Bagnaia da sicura distruzione. (2)

Fonti

DELLA RUPE, Pier Isa “LE STREGHE DI MONTECCHIO” edizioni Fefè – Roma, 2007
Luca della Rocca. La Società delle Disciplinatrici di Bagnaia
Vincenzo Frittelli. Bagnaia cronaca di una terra del patrimonio. Roma 1977
TRUPPI, Fabio: “Lilith il mito della dea ribelle” in la Runa Bianca la Rivista Elettronica del Mistero n.5 Novembre 2011
Nicoletta Camilla Travaglini in http://cultura.inabruzzo.it/0020761_la-magna-mater-luna/
Nicoletta Camilla Travaglini in http://cultura.inabruzzo.it/00592_le-fate-in-abruzzo/
Nicoletta Camilla Travaglini in http://cultura.inabruzzo.it/0022560_lalbero-cosmico-delle-fate/
Nicoletta Camilla Travaglini in http://cultura.inabruzzo.it/00828_maghi-e-streghe-nella-tradizione-abruzzese/


(1) TRUPPI, Fabio: “Lilith il mito della dea ribelle” in la Runa Bianca la Rivista Elettronica del Mistero n.5 Novembre 2011, pags 10, 11, 12
(2) DELLA RUPE, Pier Isa “LE STREGHE DI MONTECCHIO” edizioni Fefè – Roma, 2007
Luca della Rocca.
La Società delle Disciplinatrici di Bagnaia
Vincenzo Frittelli.
Bagnaia cronaca di una terra del patrimonio. Roma 1977