Presentato “Nel segno di Valcento” di Giancarlo Pavat, uno studio sulla presenza templare nel Lazio meridionale.
Latina 12 giugno 2011.
di Alessandro Moriccioni
E’ una giornata assolata a Latina, ma, nonostante il caldo torrido, molta gente si è riunita per ascoltare le nostre parole. Intendono assistere alla presentazione di un libro, “Nel Segno di Valcento” che, in realtà, non ha alcun bisogno di essere introdotto. Mi trovo accanto ad uno dei massimi esperti di insediamenti templari nel Lazio meridionale: Giancarlo Pavat e nemmeno lui ha bisogno di presentazioni. Così decido di descrivere il contesto sempre più ampio, in cui si inseriscono le ricerche di questo autore.
Abbiamo conosciuto Giancarlo Pavat a Marzo, durante le riprese di una puntata di Terra Incognita – Gli Enigmi della Storia dal titolo I Misteri della Città di Alatri e da allora siamo rimasti buoni amici. Già durante le riprese, il nostro autore Michele Rossi, aveva preso contatti con Pavat per un’intervista all’interno di un’intercapedine presso il chiostro di S. Francesco ove era stato rinvenuto il famoso Cristo nel Labirinto. Una parte del documentario, infatti, verteva sulle scoperte effettuate da Pavat e pubblicate nel poderoso volume intitolato “Nel Segno di Valcento” Edizioni Belvedere. Io potei leggere il testo solo in seguito, quindi oltre al copione, non avevo la minima idea di cosa mi sarei trovato di fronte. La città di Alatri, con le sue imponenti mura megalitiche e l’ancora palpabile presenza dei Cavalieri Templari, lascia un’impronta indelebile in ogni visitatore. Quando poi hai anche la possibilità di vedere un affresco destinato ad infiniti restauri, vivi un’esperienza assolutamente indescrivibile. Ed è proprio questo il senso del libro di Pavat, lasciare ad imperitura memoria quello che col tempo e l’incuria certamente sparirà per sempre.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una rinascita dell’Ordine Templare dal punto di vista archeologico. Sempre più insediamenti sono riconosciuti dagli esperti e nessuno osa più mettere in dubbio che la presenza templare in Italia sia stata, se non più forte, almeno simile a quella riscontrabile sul territorio francese. Ma è possibile attestare che la missione templare, partita all’indomani della presa di Gerusalemme durante la prima crociata, abbia avuto inizio o addirittura sia stata concepita in Italia, sede della più alta carica ecclesiastica, del reggente della Chiesa Cattolica; il Papa?
Qualcuno ne è convinto. Lo storico Malcom Barber e Mario Arturo Iannaccone, sostengono velatamente la tesi dello studioso Mario Moiraghi secondo cui l’inafferrabile Hugo de Payns altri non era che Ugo de’ Pagani, nobile italiano che avrebbe addirittura scritto una lettera dalla Terra Santa, attestante l’avvenuta donazione dell’area del Tempio da parte di Baldovino I (e non Baldovino II come di solito si afferma). A seguito di tutto questo si può anche concludere che solo un inviato del papa avrebbe potuto ottenere i finanziamenti vari raccolti dal de Payns in giro per l’Europa.
Che alla fine i primi appartenenti all’Ordine siano stati naturalizzati francesi per altri scopi, magari politici?
Potrebbe essere. Fatto sta che per citare pochi esempi, precettorie templari sono state recentemente accertate ad Orvieto; il perimetro di una chiesa templare è stato rintracciato a Civitavecchia e la vendita di censi templari attorno all’antica Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura a Roma, fanno pensare che la concentrazione attorno alla Capitale fosse molto più capillare. In fondo, sappiamo che ove esistevano insediamenti templari vi erano almeno due mansioni, una dentro ed una fuori le mura della città. E Roma non fa eccezione poiché, almeno due, erano le precettorie templari: la prima sull’Aventino e la seconda a San Lorenzo. Ma la presenza dei Templari è ben acclarata ovunque. A Barletta in Puglia, a Ferentillo in Umbria o, ancora, ad Ascoli Piceno nelle Marche. In quasi tutti i luoghi descritti da Pavat si respira aria di Templari. Ma è lo stesso autore ad avvertirci che non bastano croci patenti e triplici cinte a provare che realmente in quei luoghi vi siano stati dei monaci guerrieri. Spesso si tratta di altri ordini con le stesse conoscenze di tipo esoterico religioso. Nelle oltre 500 pagine del suo volume, Pavat spiega con dovizia di particolari il significato e la posizione di ognuno dei simboli trovati sul suo cammino di ricercatore, nel tentativo di portare alla luce un passato dimenticato che, tuttavia, fa parte della storia del nostro Paese.
Lasciando la parola a Pavat per il suo intervento, ricordo che questo ordine era capace di assicurare in tempo di pace ai confratelli un’aspettativa di vita circa il doppio di quella media. I Templari, infatti, vivevano fino a ottant’anni, contro i quaranta di una persona qualsiasi. Nonostante questo viver sano, non riuscirono a sopravvivere nella memoria dei luoghi che li ospitarono e li videro prosperare fino alla soppressione dell’Ordine.