E’ possibile che l’eroe del Risorgimento italiano abbia in qualche modo ispirato il più famoso dei personaggi salgariani? Giuseppe Garibaldi fu forse il modello al quale si ispirò il romanziere Emilio Salgari per creare Sandokan, ancora oggi simbolo di avventura e romanticismo? Quali similitudini tra i due eroi giustificano tali affermazioni e quanto il pirata fantastico aderisce a quello vero che tutti conosciamo?
Un capitolo della nostra storia è scritto tra le righe di un romanzo.
Di Marco de Berardinis
Ricordo che da bambino mi appassionai ad una serie televisiva di grande successo. Si trattava di una serie TV ideata dalla Rai nel 1976. Lo sceneggiato narrava le gesta eroiche di un pirata della Malesia che combatteva contro l’invasore inglese e contro la Compagnia delle Indie. Protagonista era Kabir Bedi che impersonava il “pirata” dall’esotico ed inconfondibile nome di Sandokan.
La trama, molto brevemente, si dipanava in questo modo: Sandokan ha perso la sua famiglia a causa degli inglesi che vogliono sottomettere tutta l’area per i loro affari mercantili e militari. Per combattere l’invasore egli è costretto a tramutarsi in un temuto ma giusto pirata che, con l’aiuto di pochi e fedeli compagni, riesce a tenere in scacco l’impero britannico per diverso tempo. Tuttavia essendo male armato, il suo piccolo esercito non riesce a tenere testa agli inglesi che conquistano la sua patria, Mompracem, una piccola isola immaginaria al largo dell’attuale Brunei) posta tra l’Indonesia (a nord della costa del Borneo) e la Malesia.
100 anni fa moriva il genio e nasceva il mito
Il personaggio di Sandokan nacque dalla mente geniale di uno scrittore italiano, nato a Verona nel 1862. Fu infatti Emilio Salgàri (e non Sàlgari) ad inventarlo. Diverse fonti affermano erroneamente che egli sia nato a Salzano in provincia di Venezia ma questo non concorda con la realtà oggettiva. Molto giovane Salgari cercò di divenire capitano di marina, ma non riuscendoci dovette accontentarsi di viaggiare molto poco senza poter peraltro mai raggiungere i luoghi sognati e descritti nelle avventure dei suoi personaggi.
L’intera sfortunata vita di questo grande autore meriterebbe ben altro spazio, dunque mi limiterò alle vicende più importanti.
Nel 1889 il padre si suicida, evento che avrà un peso notevole sulla sua debole psiche.
Nel 1892 sposa Ida Peruzzi dalla quale avrà quattro figli, e si trasferisce a Torino. Nello stesso anno inizia a scrivere i primi romanzi che gli portano un discreto successo, diviene uno scrittore noto ma sempre pieno di debiti. Si dice che per la ingenuità si facesse pagare a forfait rinunciando spesso alle percentuali. In realtà si tratta di un piccolo enigma mai completamente spiegato. E’ necessario considerare che Salgari forse soffriva di manie di persecuzione tanto da accusare continuamente lo scrittore d’oltralpe Jules Verne di esercitare pressioni sugli editori francesi affinché non pubblicassero i suoi romanzi in Francia. Comunque se prestiamo fede alla tradizione, ad approfittare dell’instabilità e dell’indigenza di Salgari sarebbero stati solo ed esclusivamente i suoi editori.
Nel 1903, la moglie Ida inizia a soffrire di problemi di salute mentale. Salgari spende tutti i suoi soldi nel tentativo di curarla, ma nel 1911 la donna peggiora a tal punto da necessitare del ricovero in manicomio.
Intanto i contratti firmati con gli editori non gli danno tregua, deve scrivere tre pagine al giorno per sette giorni la settimana. Se un giorno intende riposare, il giorno seguente deve ovviamente raddoppiare la produzione. A questo punto i suoi nervi cedono e, dopo un primo tentativo di suicidio nel 1910, riesce ad uccidersi, in modo piuttosto insolito, con un rasoio; tagliandosi il ventre e la gola in un bosco non lontano da casa e dopo aver lasciato solo una lettera ai figli. Incredibile è la freddezza con cui scrive ai suoi editori:
“A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.”
Tuttavia non fu solo Salgari a saltare il fosso. La maledizione che sembra avvolgere tutta la sua vita colpisce inesorabilmente tutti i componenti della sua famiglia. L’unica figlia femmina, Fatima, muore giovanissima di tisi nel 1914, nel 1922 muore la moglie in manicomio, nel 1931 si uccide il figlio Romero, nel 1936 muore un altro figlio, Nadir, vittima di un tragico incidente motociclistico.
L’ultimo figlio, Omar, si getta nel vuoto nel 1963.
Dall’eroe del Risorgimento all’eroe romantico
Partiamo da un presupposto fondamentale; Salgari non viaggiò praticamente mai. O almeno mai nei luoghi da lui descritti nei suoi libri. Li scoprì nelle biblioteche di Verona prima e Torino poi. Nato solo vent’anni prima della morte di Giuseppe Garibaldi, nel 1862, vive indirettamente una serie di fatti storici. La Spedizione dei Mille è già in corso ed una manciata di anni prima, nel 1849 l’eroe italiano Giuseppe Garibaldi aveva già dato vita all’effimera Repubblica Romana. Insieme a Mazzini infatti aveva cercato di far spirare anche su Roma quel vento rivoluzionario che stava infiammando l’Europa del 1848. Un vento apparentemente liberale che, tuttavia, nella futura capitale d’Italia era ancora anacronistico.
Infatti papa Pio IX Mastai Ferretti (“Un metro cubo di letame” secondo Garibaldi) fugge e si rifugia a Gaeta invocando l’aiuto della Francia che risponde inviando il proprio esercito guidato dal generale Oudinot.
Le forze sono impari e dopo una strenua resistenza, coadiuvato da molti volontari provenienti un po’ da tutta Europa, Garibaldi deve capitolare e, per evitare alla Città Eterna l’onta dei bombardamenti francesi, decide una strategica ritirata. Durante questa drammatica “fuga” i suoi fedeli compagni cadono uno dopo l’altro. Oltre i francesi, inseguono l’eroe diretto a Venezia anche gli austriaci. Infatti egli è ricercato anche dagli sgherri dell’impero Austro Ungarico. Su Garibaldi infatti pesa una condanna a morte sentenziata direttamente dall’imperatore. Rischia dunque la fucilazione.
Fucilati, infatti, saranno i suoi compagni: Bassi, Livraghi, Brunetti e i due figli di quest’ultimo che cadranno nella mani degli austriaci dopo essere sbarcati nei pressi di Ravenna.
Garibaldi fugge ancora in condizioni disperate. La sua compagna Anita è in preda alle febbri malariche e resta con lui solo un compagno, Giovan Battista Culiolo. Sete e fame fanno il resto.
L’eroe dei Due Mondi, per inciso già Gran Maestro Massone e vera e propria leggenda vivente per i sudamericani, vede morire Anita a ventotto anni e incinta di suo figlio. Ella spira tra le sue braccia in una commozione romantica che traspare ancora fortemente nonostante sia passato più di un secolo. Non siamo certi della causa della morte di Anita Garibaldi seppure gli storici propendono per l’ipotesi più probabile che chiama in causa la già citata febbre malarica.
La disperazione è acuta. Giuseppe Garibaldi vorrebbe lasciarsi morire ma Culiolo lo trascina per un braccio e quasi gli impone di salvarsi l’anima dalle truppe austriache che ormai li hanno quasi raggiunti.
Braccato fino all’ultimo il 5 settembre Garibaldi e il suo compagno sbarcano a Porto Venere ricongiungendosi con gli insorti. Finalmente sono al sicuro. La Marmora commenterà l’accaduto affermando: “E’ un miracolo che egli (Giuseppe Garibaldi) sia riuscito a salvarsi”.
A questo punto inizierei ad elencare una serie di analogie considerando il fatto che abbiamo ormai tutti gli elementi.
Nel suo romanzo più famoso, “I pirati della Malesia” (1896), Salgari in qualche modo fa rivivere attraverso l’eroe malesiano Sandokan, le gesta di Giuseppe Garibaldi che notoriamente ha sempre ammirato. Anche Sandokan infatti, lotta per liberare la sua patria dal giogo dell’invasore straniero; quello degli inglesi.
Persa la battaglia decisiva contro il nemico il pirata è costretto a fuggire, o meglio, a ritirarsi. Anche Sandokan attraversa la sua terra, Mompracem, da un capo all’altro inseguito dal nemico che lo considera un pirata e lo vuole giustiziare. E qui non possiamo esimerci dal pensare a Garibaldi, considerato dagli austriaci un pericoloso criminale che doveva essere a tutti i costi fucilato. Forse anche i francesi lo avrebbero passato per le armi se lo avessero acciuffato.
Per inciso: Garibaldi era un criminale per lo straniero, ma per gli italiani era e resta un eroe. Sandokan era un pirata per gli inglesi, ma un eroe per il suo popolo. Durante la ritirata per sottrarsi al nemico, Sandokan perde la moglie a causa del colera. Il nostro eroe malese vorrebbe restare con lei e farsi catturare ma é convinto a proseguire la fuga/ritirata dal suo più fido amico, Yanez de Gomera. Sandokan così riesce miracolosamente a mettersi in salvo. Nei romanzi “Sandokan alla riscossa” del 1907 e “La riconquista di Mompracem” del 1908, Sandokan torna nel suo paese, scaccia gli inglesi ed è portato in trionfo dal popolo.
La coincidenza, lascia esterrefatti. Giuseppe Garibaldi, anni dopo la sua ritirata strategica di cui abbiamo già detto, mette in campo la famosa e alquanto rocambolesca Spedizione dei Mille (1860), marcia trionfante verso Roma dopo aver conquistato tutto il meridione in nome dei Savoia. La storia narra del suo incontro con il Re a Teano e di onori a non finire seppure sotto il continuo sospettoso sguardo severo del Cavour. Garibaldi, come poi Sandokan nel romanzo, assiste trionfante alla presa di Roma alla sconfitta del papa nemico della libertà (e della Massoneria scomunicata che con la presa di Porta Pia interrompe addirittura un concilio) ed alla fine del potere temporale.
Solo una cosa possiamo aggiungere a conclusione di questa serie sconcertante di analogie salgariane e garibaldine; che Salgari come detto non salpò mai per i lidi lontani che sognava; ma era un uomo di alta cultura. Dai suoi veri amici, i libri, aveva appreso la storia del Risorgimento italiano ed ha voluto riproporla nei suoi volumi in forma di romanzo. Generazioni di ragazzi hanno appreso tra le righe la storia del più grande eroe che l’Italia possa celebrare. Solo così si può spiegare la frase del Che Guevara ove afferma che l’unico eroe di cui il mondo abbia mai avuto davvero bisogno è Giuseppe Garibaldi.
Allora è vero; Sandokan come Garibaldi? Due eroi immortali. Nella realtà come nella finzione, ma uno stesso unico sogno: la libertà.
Come non dare ragione a questo sfortunato scrittore condannato dalla società dell’epoca, ma reso immortale dal genio dei suoi romanzi?