Gli eredi di Arzawa

7296

Intervista con Giovanni Feo, ricercatore e scrittore, grande esperto della civiltà etrusca

di Osvaldo Carigi

“Un profondo senso del mistero ha da sempre colorato il passato più remoto alle antiche civiltà e a quei nostri lontani progenitori, così lontani, che i loro veri volti rimangono per noi senza nome e senza tratti definibili” (Giovanni Feo).
E da sempre una  cortina di mistero, talmente consolidatasi nel tempo da diventare uno stereotipo, sembra ammantare la storia della civiltà etrusca, i cui principali aspetti: origini – lingua – religione risultano essere tratteggiati soprattutto da quella  monotona tradizione cattedratica “spesso prigioniera di tesi e di sintesi stanche,  meccanicamente ripetute per incomprensione della fantasia e dei colori etruschi”. Con il professor Giovanni Feo, valente etruscologo ‘fuori dal coro’, autore di importanti saggi ‘alternativi’ sull’argomento, cercheremo, quindi, di far conoscere alcuni aspetti della ‘misteriosa’ realtà di questo meraviglioso popolo, in un viaggio attraverso il loro raffinato mondo dove sacralità e scienza si fusero mirabilmente,  un  mondo lontano che seppe convivere con la natura circostante e studiare il cosmo sovrastante in una sorte di magica e rispettosa simbiosi con le eterne universali leggi che regolano la vita degli esseri umani.  Un viaggio privo di quei didascalici preconcetti,  che vogliono gli etruschi barbari superstiziosi e licenziosi, un viaggio che, dalle nebbie della storia, ha inizio in un’antica regione dell’Asia Minore… Narra Erodoto che “Al tempo di Atis, figlio di Mane, una tremenda carestia si sarebbe abbattuta su tutta la Lidia… Il malanno, invece di attenuarsi, si andava aggravando sempre più, il loro re, divisi tutti i Lidi in due parti, fece estrarre a sorte quale dovesse rimanere e quale, invece, andarsene via dal paese…

Osvaldo Carigi: “Professor Feo, i Lidi menzionati da Erotodo erano gli stessi che noi conosciamo come Etruschi? Al riguardo, nell’edizione che io ho de ‘Le storie’ ho trovato questa nota riguardo appunto il predetto popolo proveniente dalla Lidia: ”Sembrerebbero cioè gli Etruschi; ma tale racconto di Erotodo lascia molto perplessi sull’argomento””
Giovanni Feo:”
Erotodo era nativo della Caria, regione dell’Asia Minore confinante con la Lidia, e visse nel V sec. A.C. Il paese che ai suoi tempi era chiamato Lidia, secoli prima era stato occupato da un popolo della Meonia e come scrive il ‘padre della storia’: “I Lidi erano un tempo chiamati Meoni, ma cambiarono nome in quello attuale da Lydos, figlio di Atys”. Sappiamo che a causa di una carestia il re Atys decise di dividere il proprio regno: suo figlio Tirreno partì per mare verso occidente, l’altro figlio Lydos, restò a governare nella propria terra.”

Il corteo dei misteri va incontro a Dionisio

O.C.: “ La Lidia era situata nell’odierna Anatolia in Turchia. L’origine anatolica degli Etruschi acclarata da Erotodo è stata suffragata recentemente dagli studi del Prof. Piazza e dei suoi colleghi dell’Università di Torino che hanno portato alla luce in particolare una condivisione della variante genetica di soggetti provenienti da Murlo, Volterra e dalla Valle del Casentino, in Toscana, con gente di origine turca e dell’isola di Lemnos. Eppure una delle ipotesi ancora oggi più acclarate circa le origini degli Etruschi li vuole autoctoni e lo storico greco Dionigi di Alicarnasso sembra essere il padre di questa corrente di pensiero, laddove nella sua ‘Antichità Romane’ (I sec. A.c.) si legge: “Perciò sono probabilmente più vicini al vero coloro che affermano che la nazione etrusca non proviene da nessun luogo, ma che è invece originaria del paese (l’Italia)”. Come spiega questo persistere dell’idea autoctona della civiltà etrusca?”
G.F.:”Le tante incertezze che ancora oggi sussistono intorno alle origini degli Etruschi, dipendono dal fatto che il loro ceppo non nacque nel centro-Italia nell’ottavo secolo a.C., ma risaliva ad un’epoca molto più remota. I Tirreno-Etruschi che giunsero ad occupare il Centro-Italia tra i secoli XIII e XII a.C. erano gli eredi di una cultura direttamente collegata all’antico regno di Arzawa, fiorente nel secondo millennio in una vasta area dell’Anatolia centro-occidentale. Dal nome Arzawa, gli Etruschi di età storica derivarono quello di Rasna, con il quale indicavano se stessi, con il senso di “popolo, comunità”. Dionigi di Alicarnasso, cittadino romano, quando scriveva le sue Antichità Romane era sicuramente condizionato dal dover ridimensionare, agli occhi dell’Urbe, l’importanza della componente etrusca nelle origini di Roma che, dopo un’estenuante guerra durata quasi due secoli, era riuscita a soggiogare la dodecapoli etrusca. Nel I sec. A.C. questa realtà era ancora scomoda e rimossa. Dionigi, oltretutto, si contraddice continuamente quando, per esempio, afferma che la lingua etrusca è diversa da tutti gli idiomi italici, senza però giustificare tale notizia. Quando poi parla degli Etruschi che, secondo lui, erano “da sempre” presenti in Italia non accenna minimamente alla loro storia, dilungandosi invece su quella di Pelasgi, Siculi e Umbri: il fatto che escluda gli Etruschi dal racconto storico è fortemente sospetto. L’epoca di Dionigi coincideva con il nascere dell’ideologia imperiale romana e l’antico ‘nemico’ etrusco non poteva placidamente venir menzionato quale ‘fondatore’ dell’Urbe. Lo stesso problema lo ebbe Virgilio nello scrivere la sua Eneide. La tesi dell’autoctonia degli Etruschi ha trovato consensi solo in Italia dove, durante il ventennio fascista, il nazionalismo dilagante incasellava acriticamente ogni antichità come ‘romana’ o,quantomeno, come ‘italica’. Oggi, all’estero, nessuno più crede a queste favole. Da noi, solo la presente generazione di studiosi si sta timidamente allontanando dalla tesi dell’autoctonia. Tesi che, comunque, è fuorviante: esistono davvero popoli “autoctoni” nati senza avere alle spalle una precedente fase di civiltà e di contatti con l’esterno? Il grave ritardo negli studi etruschi lo si deve alla scarsa considerazione data alle loro origini poichè “il processo di formazione della nazione estrusca non poteva che aver avuto luogo nel territorio della stessa Etruria”.  Il problema delle origini di un popolo è, invece, di primaria importanza, né è slegato da quello della sua formazione. Ma certe favole sono dure a morire. Quanto alle scoperte del Prof. Piazza confermano senz’altro quanto scritto da Erotodo.”

Figura con copricapo, forse un sacerdote (Murlo, Siena)

O.C.:”E’ ipotizzabile che l’antico regno anatolico di Arzawa, da lei menzionato come luogo di origine delle genti da noi conosciute come Etruschi, gravitasse nell’orbita culturale Ittita. Se così fosse, troviamo tracce della sua cultura nella storia ‘italiana’ dei suoi discendenti? E ancora, sempre nell’alveo di una affinità con i popoli stanziati nell’Anatolia occidentale, Arzawa potrebbe essere stato uno degli alleati della città di Troia partecipando, a fianco della stessa, nella guerra cantata da Omero?
G.F.:”L’impero ittita, durante i secoli dell’età del bronzo, ebbe un notevole influsso su tutta l’antica Asia Minore e sugli stati confinanti, come Arzawa, Lukka (Licia), Wilusa (Ilio, Troade) situati nell’Anatolia occidentale. Nella società etrusca di età storica si erano conservate rimarchevoli tracce delle origini anatoliche. Il nome della città di Tarquinia e del suo fondatore, Tarchun, ha diretta relazione con un importante dio anatolico del tuono e del fulmine, Tarkhun, a sua volta derivato da un antico dio-toro, già compagno della Grande Madre anatolica. E sappiamo della celebre Tomba dei Tori a Tarquinia, secondo alcuni appartenuta proprio ai Tarquini, nonché delle Terme Taurine, poco distanti dalla stessa cittadina. Nell’antica Asia Minore (Turchia) ritroviamo tutti quei caratteristici elementi che furono poi espressi dalla civiltà etrusca: il primato metallurgico, il culto di una grande dea della terra, l’importanza della donna in ambito sociale e religioso, una longeva tradizione di arte e architettura rupestre sviluppatasi nella regione anatolica, vulcanica e tufacea, geologicamente simile a quella tosco-laziale. A livello linguistico si è oggi accumulato un vasto repertorio di parole che dimostrano connessioni non superficiali tra antiche lingue anatoliche e lingua etrusca. A livello religioso le corrispondenze sono molte: la lettura del fegato di ovini (aruspicina), l’interpretazione dei fenomeni celesti (arte fulgurale) e il responso oracolare tratto dal volo degli uccelli (ornitomanzia) sono tradizioni documentate, in forme del tutto simili, sia in area ittita che mesopotamica. La guerra di Troia è solitamente situata nel XIII sec. a.C., data assai prossima a quella della “migrazione” tirrenica tramandata da Erotodo. In ambito etrusco è documentato un antichissimo culto del troiano Enea, lo dimostrano i numerosi reperti (75 vasi dipinti e altri oggetti) rinvenuti in Etruria e raffiguranti l’eroe troiano. Non lontano da Cartagine venne scoperto un insediamento etrusco del III sec. A.C. dove si rinvenne un cippo con un’iscrizione etrusca. La stele, di epoca tarda (I sec. a.C.) reca la dedica “agli dei Dardani”, cioè agli dei troiani, in quanto Troia era stata fondata da Dardano, re e primo istitutore dei Misteri della dea Cibele. Gli etruschi insediatesi in terra cartaginese che avevano inciso la stele, nonostante fossero passati più di mille anni dal tempo di Enea e di Troia, ancora celebravano il ricordo di quei loro progenitori “troiano-etruschi”.

Lemno. Santuario dei Cabiri, culto di Cibele

O.C.:. “Le rotte marittime utilizzate dai Tirreni erano da questi già conosciute? Dove avvenne il loro approdo sulle coste italiane? Cito ancora Erotodo: “…oltrepassati molti popoli giunsero al paese degli Umbri, ove costruirono città e abitano tuttora”. In Italia gli Umbri si erano diffusi in un’area che comprendeva anche l’odierna Toscana, quindi sarebbe plausibile identificare, come da tradizione, il luogo dello sbarco proprio sulle coste di questa regione. Ma vi è un’altra ipotesi suffragata da corposi indizi….”
G.F.:”Non credo proprio che i Tirreni arrivati in Italia verso il XIII-XII secolo a.C. abbiano improvvisato il viaggio da Smirne all’Italia. Erano un popolo di esperti navigatori, famosi già nell’età del bronzo per le loro capacità marinare, conoscevano la “rotta dei metalli” ed erano in contatto con altri popoli del mare con i quali si alleavano e promuovevano scambi. Probabilmente, prima di insediarsi nella penisola, già avevano avviato alleanze con i nativi, fondando empori e approdi sicuri . Ultimamente è andata crescendo negli studiosi l’opinione che la prima tappa dove i Tirreni sostarono, prima di occupare il centro Italia, sia stata la Sardegna. Sono molti gli indizi a sostegno di tale tesi. Non solo, ma già in età antica era diffusa la notizia che sia i Sardi che gli Etruschi erano ambedue di ceppo “tirrenico”. Il nome TIRRENI è in relazione alla dea TURAN (la Grande Madre etrusca) e alle parole ‘Torre’ e ‘Tiranno’ (‘il signore della Torre’). Ciò è in rapporto alle acropoli etrusche costruite su alture (anatolico ‘THURA’); Tirreni furono anche i Sardi, costruttori delle ‘torri’ nuragiche. Esiodo (VIII a.C.) ha scritto che i Tirreni regnavano sulla Sardegna prima dell’età micenea. Strabone (V,2,7) conferma la presenza di Tirreni nell’isola. Un fatto certo è che in Sardegna la civiltà si sviluppò molto prima che sulle coste peninsulari. Servio (X, 172) racconta che un popolo proveniente dalla Corsica venne in Italia e fondò Populonia. Silio Italico (Punica, VIII, 472) chiama Populonia “gloria degli antichi Meoni” e sappiamo che la regione anatolica della Meonia fu poi la Lidia di età storica. Bronzi sardi sono stati rinvenuti numerosi nelle tombe di Populonia, Vetulonia, Vulci, Tarquinia, Cerveteri. “Navicelle” votive sarde del IX sec. a.C. furono ritrovate in Etruria e nel Lazio. Un fatto ancora poco è il ritrovamento di importanti necropoli etrusche lungo il fiume Tirso, che attraversa il centro-nord della Sardegna e sfocia nel golfo di Oristano, vicino all’importante porto di Tharros. Tirso ha la medesima etimologia di Tirreni, nome dato dai Greci agli Etruschi. I Tirreno-Etruschi sarebbero in un primo tempo sbarcati in Sardegna e, in un secondo tempo, avrebbero occupato l’isola mineraria dell’Elba, per poi sbarcare sulle coste della futura Populonia. Essendo i Tirreni esperti metallurgi è plausibile che si siano diretti ai ricchi giacimenti sardi, corsi, elbani, fino ad insediarsi nella ricca area metallifera di Populonia. Una singolare “coincidenza”: l’isola d’Elba fu anticamente Aithalia, la “fumosa”, esattamente lo stesso nome dato all’isola di Lemno, anch’essa ricca di metalli e ricordata per il fumo delle fonderie.

Posa rituale. Candelabro del VI secolo

O.C.: Professore, colgo al volo l’occasione datami da questo suo ultimo inciso, per chiederle se il nome ITALIA derivi proprio dal termine ‘AITHALIA’.
G.F.: Lo ritengo poco probabile, anche se a rigor di logica associare il nome dell’Italia all’epiteto “fumosa” può essere coerente perché nel continente europeo i vulcani attivi si trovano solo in Italia (e Islanda), né sono pochi.

O.C.: Nel suo libro ‘Prima degli Etruschi’ si legge che l’eroe troiano Enea, sbarcato nel Lazio intorno al XII sec. a.C., venne accolto dagli etruschi come un ‘fratello’ riconoscendo in lui la medesima stirpe orientale (anatolica). Questo fatto, riscontrabile anche nell’Eneide di Virgilio, non trova d’accordo molti storici moderni che mettono in evidenza una sostanziale incongruenza di natura temporale affermando, in sintesi, che la presenza etrusca nel centro Italia risalente al IX sec. non può assolutamente conciliarsi con la predetta epoca in cui avvenne l’approdo di Enea sulle coste laziali e il successivo incontro con i ‘fratelli’ etruschi. Ma come giustamente ha avuto modo di evidenziare nella prima parte della precedente risposta, i Tirreno-Etruschi erano già presenti nel Centro-Italia, pionieri di un processo migratorio, avvenuto in epoche diverse, culminato con l’arrivo della casta sacerdotale detentrice di quegli elementi essenziali della civiltà etrusca (architettura sacra e lingua scritta) che furono la base di una successiva grandiosa fase storica.
G.F.: L’incongruenza temporale tra l’arrivo di Enea in Italia nel XII secolo e la presenza degli Etruschi in Italia, nello stesso secolo, può essere spiegata attraverso vari modi: gli Etruschi, o proto- villanoviani, erano effettivamente già presenti in quell’epoca in Italia, anche se la confederazione dei 12 popoli trovò sviluppi e compimento a partire dal X-IX secolo a.C., in seguito a un secondo arrivo di Tirreno-Etruschi da Oriente. Questo secondo sbarco potrebbe coincidere con l’arrivo di un secondo ceppo tirrenico, di origini egeo-anatolico, mentre il primo, i proto-villanoviani, può aver avuto origini più marcatamente egeo-balcaniche. Comunque sia, come già rimarcato da vari studiosi dell’Eneide, sembra verosimile che Virgilio abbia volutamente adombrato le vere origini storiche di Roma, prediligendo l’epopea mitica, calata in un’atmosfera atemporale e favolosa, a scapito della cruda successione degli eventi storici. Virgilio apparteneva al collegio dei “maru” (in latino “Marone”), saggi e anziani il cui parere o la cui autorità erano preminenti nella società etrusca. Nativo dell’etrusca Mantua (Mantova), Virgilio si prodigò per non mettere chiaramente in primo piano l’apporto etrusco nella nascita di Roma, anteponendovi quello troiano, più accomodante per il nazionalismo di Augusto e dell’Urbe.

O.C.: La fondazione di Roma è sicuramente tutt’ora una delle più controverse vicende legate alla storia etrusca. Due scuole di pensiero si contrappongono circa l’origine della Città Eterna: la prima, ‘tradizionalista’, sostiene che furono i Latini a fondare Roma, la seconda, ‘modernista’ afferma che più popoli, tra cui anche i Latini, concorsero alla nascita della futura Caput Mundi, evidenziando, nel contempo, un maggiore influsso culturale etrusco. Professor Feo, il suo pensiero, in proposito, lo si potrebbe anticipare con questa frase tratta dal già citato ‘Prima degli Etruschi’: “La verità è che ambedue queste scuole si rifanno a presupposti validi, sempre che non si estremizzi in un senso o nell’altro”.
G.F.: La nascita di Roma fu il frutto di alleanze dinastiche tra diverse etnie. Questo fu l’influsso creativo e vitale insito nella civiltà romana: la capacità di unificare e rendere universali i particolarismi e le differenze etniche e culturali. La prima fase di Roma antica è tradizionalmente associata a un “popolo del mare” gli Arcadi pelasgici del re Evandro e della dea (moglie o madre) Carmenta. Grazie all’Eneide di Virgilio, all’elenco dei re di Albalonga e alle cronache tradizionali sappiamo che la prima confederazione dei popoli che abitavano l’antico Lazio, risultò da alleanze tra Etruschi, Troiani, Latini, Sabini e probabilmente da genti villanoviane e pelasgiche. L’etnia che emerse in tempi storici (VIII a.C.), l’etrusco, è quella che dette nome alla città e che officiò il tradizionale rituale di fondazione, che comprendeva il responso tratto dall’osservazione del volo degli uccelli e il tracciato del solco primigenio, con due bovini bianchi aggiogati.

O.C.: Da dove proviene il nome “Roma”?
G.F.:Il nome “Roma” è presente in arcaiche iscrizioni etrusche e sembra sia in relazione al culto di una “dea-lupa”. Nella religione romana la dea Rumina potrebbe essere stata quella “lupa” venerata sul Palatino, a cui competeva la cura e il nutrimento degli infanti. E’ evidente il nesso con la leggenda della Lupa e dei Gemelli. La casta di sacerdoti-lupo (Luperci, Hirpi Sorani) svolse un ruolo di primo piano nella storia religiosa e politica dell’antica Roma. Il culto dei dei-lupo ha origini antichissime, lo si trova in tutta Europa. Nel Lazio era condiviso da Etruschi, Sabini e Latini.

Sacerdote in posa rituale, V sec. a.C. (Orvieto)

O.C. “Nell’isola di Lemnos, già citata precedentemente, vennero  portate alla luce le vestigia di una civiltà molto affine a quella etrusca ma queste scoperte non ebbero il giusto clamore mediatico che sicuramente meritavano e meritano tutt’ora. Già lo storico greco Strabone sembrò indicarci la ‘giusta via’ verso una ‘scomoda’ realtà storica laddove nel suo ‘Geografia’ si legge che “Anticleide (1) dice che questi (i Tirreni) furono i primi a stabilirsi nelle regioni intorno a Lemno ed Imbro (2)”. (V, 4)(1) Storico e antiquario greco vissuto nel III secolo a.C.(2) Imbro (Gökçeada in turco e Imbros in greco) è un’isola della Turchia. Situata nel Mar Egeo nei pressi dell’imbocco dello Stretto dei Dardanelli si trova nelle vicinanze delle isole greche di Lemno e Samotracia.
G.F.:”Le importanti scoperte archeologiche effettuate nell’isola di Lemno dal prof. Luigi Beschi (Università di Firenze) riguardano migliaia di nuove iscrizioni in una scrittura definita proto-etrusca. Monumenti architettonici, mura e templi in stile “tirrenico” sono stati portati alla luce in tutta l’isola. Questa è forse la prova più concreta che effettivamente alla fine dell’età del bronzo si verificò quella che antichi cronisti chiamarono “la grande migrazione tirrenica”. Parte di quei Tirreni giunsero nel mar Tirreno, altri si insediarono a Lemno, nelle isole dell’Egeo e sulla costa anatolica. Lemno è un’isola speciale. A seguito della sua importanza fu considerata, assieme alla vicina Samotracia, tra i maggiori centri della primitiva religione pre-greca. A Lemno vennero iniziati al culto di Cibele gli Argonauti, cioè quei naviganti pelasgici che viaggiavano lungo la rotta dei metalli. Punto nevralgico della rotta era proprio il passaggio tra Lemno, Troia e i Dardanelli; da lì si accedeva al mar Nero e alle ricche miniere della Colchide. I templi “tirrenici” di Lemno (Myrina, Kabeirion, Efestia) sono situati in un territorio ricco di vene metallifere e di sorgenti calde e fredde. I pozzi sacri, i templi, le necropoli, i resti insediativi compongono uno scenario dove un tempo fu venerata la dea della terra Cibele. L’isola era anche la dimora del dio del fuoco sotterraneo e della metallurgia, Efesto, e nel culto misterico ebbero un ruolo centrale i Cabiri, sacerdoti chiamati anche Efestoi, “figli di Efesto”. Fu il re etrusco Tarquinio Prisco a far giungere in Etruria il culto cabirico, secondo il racconto fatto da Macrobio nei Saturnalia.

O.C. L’evidente quasi totale somiglianza della scrittura lemnia con l’etrusco è senz’altro uno degli ‘indizi’ più incontestabili circa la natura ‘tirrenica’ della civiltà fiorita su quest’isola.
G.F.La lingua delle iscrizioni lemnie si differenzia dall’estrusco per pochi dettagli; per esempio nel lemnio c’era la vocale ‘O’, mancante nell’etrusco. Ma, a parte questi particolari, la scrittura lemnia è di facile lettura per chiunque sappia leggere l’etrusco. Di iscrizioni ne sono state ritrovate oltre duemila, anche se spesso frammentarie, e gli scavi non sono ancora terminati. Ha dell’incredibile la storia di come in Italia le scoperte di Lemno siano state “rimosse” a livello accademico. Nel Museo Nazionale di Atene i reperti ritrovati a Lemno sono etichettati come “tirrenici”, lo stesso si può constatare nel Museo Archeologico di Lemno, a Myrina, ed è chiaramente spiegato nei pannelli che i Tirreni furono anticamente conosciuti come Etruschi.

O.C.: Professore, mi diceva che esistono monumenti etruschi concepiti e realizzati secondo significati e tecniche dei quali “gli esperti” non sospettano nemmeno l’esistenza. Il labirinto di Porsenna è uno di questi.
G.F. Il labirinto di Porsenna si trova in località Poggio Gaiella, a pochi chilometri fuori Chiusi. Si tratta di una collina semiartificiale molto danneggiata e oggi in stato di abbandono. Vi si riconosce ancora l’originario impianto; un grande tumulo conico-piramidale al cui interno si snoda un complesso intreccio di stretti cunicoli. Per gli Etruschi il mondo sotterraneo era animato dal potere del buio e collegato a rituali di nascita, morte e rinascita. La casta sacerdotale e l’èlite dominante vi celebravano il culto in onore degli dèi e degli antenati. Il tumulo ospitò anche alcune tombe, ma solo in un secondo tempo.

O.C.: Il principale aspetto della civiltà etrusca è senz’altro l’importanza del “femminile”, aspetto nel quale si evidenzia l’estrema antichità di questo popolo che, assegnando alle donne un ruolo di primo piano, tramandava un modello “matriarcale” di origini neolitiche.
G.F.: Per questa preminenza le donne etrusche non furono comprese da Greci e Romani che, per invidia o chiusura mentale, si prodigarono a coprirle di discredito, accusandole di amoralità e bassezze varie. Ma, in tali accuse, si rivela invece il ben noto atteggiamento di Greci e Romani verso ogni tipo di diversità, giudicata barbara, inferiore ed esecrabile. Un’emblematica figura storica è quella di Tanaquil, moglie del re Tarquinio Prisco, sacerdotessa iniziata alle arti oracolari: alla sua morte Tanaquil venne divinizzata e il suo culto, molto popolare in Roma, fu officiato sul colle Quirinale nel tempio di Ercole. L’arte di interpretare i fenomeni celesti è tradizionalmente associata nelle antiche civiltà a sacerdoti, a maschi. Nella società etrusca fu invece una ninfa e sibilla, Vecu (o Vegoe) a rivelare l’arte celeste, l’arte fulgurale, ad un sacerdote di Chiusi, Aruns Veltumnus.

Sileno e Menade con nacchere

O.C.: L’importanza del principio femminile emerge anche nella religione etrusca, imperniata su antiche forme di culto della Terra, la madre terra. La principale celebrazione religiosa etrusca si svolgeva annualmente presso il Fanum Voltumnae che lei ha individuato sulle sponde del lago di Bolsena.
G.F.: Il fanum era un territorio consacrato a Voltumna, nome latinizzato della grande dea etrusca delle acque e del fato.  Il culto comprendeva un tipo di approccio al territorio del tutto speciale, basato su quella che possiamo chiamare una vera “scienza” del territorio, da alcuni autori definita anche “geografia sacra” o “geomanzia”. Il territorio, corpo fisico e materiale della madre terra, veniva studiato nelle sue diverse caratteristiche e qualità, arrivando a determinare dove e come si manifestava il “sacro”, ovvero una speciale energia o influsso di natura divina, ritenuto sia creativo che distruttivo. In certi luoghi, per esempio grotte, sorgenti, alture, si riteneva che un potere sacro avesse dimora e che gli esseri umani, con appropriati riti, potessero entrarvi in contatto e trarne conoscenze e benefici. Riscoprire le regole di questa antica scienza sacra può essere oggi di estremo interesse e utilità, se consideriamo, per esempio, che in molti paesi orientali ancora sopravvive una tradizionale scienza del territorio: il Feng Schui (“scienza del vento e dell’acqua”), utilizzata per orientare sia i templi che gli edifici civili e, soprattutto, per favorire nei modi migliori la fluidità e lo scorrere dell’energia creatrice e primordiale (il ‘chi’ o ‘ki’).

O.C. E il tema del ‘femminile’ mi dà lo spunto per una domanda, citando, a introduzione, la famosa Dama di Elche. Questa statua, raffigurante forse una sacerdotessa o una dea, è sicuramente il più famoso simbolo dell’antica civiltà iberica nella quale troviamo tracce di una cultura simile ad una ‘pelasgica’ sviluppatasi, intorno al IV sec. a.C., in Sardegna e nella Creta minoica. Se consideriamo l’acclarata appartenenza dei Tirreni-Etruschi alla colazione dei ‘popoli del mare’, i ‘pelasgi’ appunto, le predette tracce possono condurci ad ipotizzare influenze culturali etrusche nella Spagna pre-romana?
G.F.: In età pre-romana non mancarono scambi e commerci tra l’Etruria e l’Iberia, in particolare con le coste mediterranee della Spagna e l’area delle Colonne d’Ercole dove era situato il più antico porto iberico, Tartesso. I monumenti preistorici e megalitici delle isole Baleari (Maiorca, Minorca) testimoniano dei contatti non superficiali tra Iberia e Tirrenide (Corsica, Sardegna, Etruria).

O.C.:”A conclusione del nostro incontro, spostiamoci in Francia , precisamente a Glozel dove, nel 1924, un contadino del posto, certo Emile Fradin, scoprì casualmente numerosi antichi reperti su cui erano incisi segni di una sconosciuta scrittura. L’inevitabile susseguente diatriba circa l’autenticità o meno della scoperta, ancora attuale, coinvolse lo stesso Fradin accusato inizialmente di essere un falsario ma, in seguito, prosciolto da tale accusa. Tale assoluzione gli permise di aprire un piccolo museo locale dove potè esporre i reperti da lui rinvenuti. Tra i sostenitori dell’originalità dei ritrovamenti in questione, spicca lo studioso svizzero Hans Rudolf Hitz il quale recentemente ha acclarato l’appartenenza delle iscrizioni di Glozel ad un alfabeto di tipo etrusco, arrivando ad individuare, in una delle tavolette di terracotta, le parole “Nemu Chlausei” la cui traduzione è “nel bosco sacro di Glozel”. ‘Chlausei’ è simile all’etrusca ‘Cleusin’, ovvero Chiusi, e tale somiglianza etimologica non sembra davvero casuale…..”
G.F.: Credo che il dr. Hitz abbia risolto, almeno in buona parte, il “mistero”delle iscrizioni di Glozel, definendole di tipo celtico-etrusche e traducendole in modo comprensibile e chiaro. Il suo lavoro merita attenzione. Resta da dire che esiste un numero di iscrizioni ancora non tradotte, anomale, diverse da quelle studiate da Hitz. E’ possibile che Chlausei-Glozel fosse un importante centro sacro per un lungo periodo di tempo, questo spiegherebbe il ritrovamento di iscrizioni di diverse epoche e provenienze. Il nome etrusco di Chiusi, Cleusin, è etimologicamente omologo a quello celtico di Glozel, Chlausei. Ma c’è un’altra corrispondenza: Chiusi fu un prestigioso centro religioso e culturale, in specie per l’arte fulgurale e la scrittura, e da lì venne portato l’alfabeto etrusco a Felsina (Bologna) e nel nord-Italia, appunto in area celtica. Anche Glozel fu un importante centro sacro, sede di un “nemeton” gallo-celtico, un bosco sacro nei cui templi vennero recati e deposti oggetti votivi con le celebri iscrizioni tanto discusse. E’ possibile che la scrittura etrusca sia giunta a Glozel portatavi in seguito a scambi tra sacerdoti etruschi e sacerdoti gallo-celtici; credo invece inverosimile, come qualcuno ha affermato, che la scrittura etrusca sia giunta a Glozel tramite “mercanti e scambi commerciali…..”.

Giovanni FEO, scrittore e ricercatore, vive da circa trent’anni in Maremma dove ha svolto un’estesa ricerca sul campo, mirata ad una approfondita conoscenza del territorio etrusco e pre-etrusco. Nel 2005 ha scoperto e segnalato alla Soprintendenza l’osservatorio astronomico di Poggio Rota (GR), unico nel suo genere in Italia.
Ha fondato l’Associazione Culturale Tages (Pitigliano) e l’Associazione Tawantin con l’antropologo Juan Nunez del Prado.